Doppio Sogno - 'L'isola dei cani', quando il cinema è il miglior amico dell'uomo

Wes Anderson, come il quasi omonimo P.T Anderson,

Wes Anderson, come il quasi omonimo P.T Anderson, è il meglio di quanto il cinema americano abbia offerto negli ultimi 20 anni in materia di nuovi registi. Cosi diversi e cosi uguali, tra le poche cose in comune (oltre al cognome) hanno quello di dare vita ad un cinema fortemente riconoscibile, con un’anima unica e uno stile inconfondibile.

Anche bendati, si potrebbe pescare dal mucchio un lavoro dei due Anderson rispetto ai film dei colleghi. Nel 2018 Wes Anderson è tornato all’amata stop motion (tecnica già utilizzata in ‘Fantastic Mr. Fox’) con ‘L’Isola dei cani’, primo film realizzato dopo il riuscitissimo ‘Grand Budapest Hotel’.

La storia raccontata sembra folle ma non lo è. Nel futuro 2038 un’epidemia di “influenza canina” colpisce tutti i cani del Giappone. Pur di evitare il rischio di permettere alla pestilenza di mutare e attaccare anche gli umani, Kobayashi (autoritario sindaco della città di Megasaki), firma un decreto che bandisce tutti i cani, ponendoli in quarantena su un’isola di rifiuti.

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Il primo cane ad essere pubblicamente trasferito sull’isola è Spots, appartenuto ad Atari Kobayashi, nipote adottivo orfano del sindaco che pur di ritrovare il proprio amico vola direttamente sull’isola dei cani…

Dai film ‘normali’ in carne ed ossa alla stop motion la musica non cambia, e Anderson si rivolge (anche se solo per il doppiaggio in questo caso) ai soliti noti, Bill Murray in testa.  E’ infinita la lista di attori e attrici che hanno doppiato i cani protagonisti del film: Bryan Cranston, Edward Norton, Jeff Goldblum, Greta Gerwig, Frances McDormand, Scarlett Johansson, Harwey Keitel e Tilda Swinton.

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‘L’Isola dei cani’ è forse il film più ‘politico’ di Wes Anderson, scomoda etichetta che forse è ingiusto attaccare. La paura che domina la realtà odierna, con l’America trumpiana che cavalca la battaglia della diversità con seguente isolamento, è un riferimento che rimane vago ma concreto, galleggiante sulla spazzatura che circonda rabbia e ignoranza.

Come in ogni film di Anderson, scenografia e fotografia giganteggiano, ispirate anche le musiche di riferimento asiatico.

Non è certo la prima volta in cui il cinema ‘usa’ il miglior amico dell’uomo per avvicinarlo e superarne idiosincrasie e contraddizioni.  L’isola dei cani però è un esempio mirabile di come si possa offrire leggerezza e riflessioni in dosi uguali, aprendo un capitolo coraggioso della carriera di Anderson. Tanti saluti a doppioni e facili scorciatoie dopo il successo sorprendente (per un regista definito ‘di nicchia’ come lui) ottenuto con Grand Budapest Hotel, ma invece una scelta coerente con la propria cifra stilistica.

’Doppio Sogno’ è la rubrica cinematografica di Citynow. Le ultime novità in sala ma anche film recenti e del passato, attori e registi che hanno fatto la storia del cinema. Racconti, recensioni, storie e riflessioni sulla Settima Arte.