La rinascita di Belmonte Calabro su Repubblica: "Da rovina a borgo diffuso"

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Sta conquistando, in questa estate, la stampa internazionale – ne hanno scritto persino in Giappone – la rinascita di Belmonte Calabro dal punto di vista turistico ad opera di sette giovani calabresi che hanno deciso di non cedere all’amarezza di vedere il proprio paese sempre più abbandonato. Sono riusciti a ridar vita al paesello arroccato su una collina rocciosa a forma di schiena d’asino, senza neanche un euro di sostegno pubblico o di fondi europei. A dimostrare che “si può fare anche da soli e senza avere capitali da parte”, spiega Giuseppe Suriano, uno dei sette amici. “Molti dati indicano come l’Italia moderna abbia rifiutato l’idea di uno sviluppo economico basato sul concetto di “bellezza”. Facendo questo abbiamo rinnegato le nostre radici e la nostra storia”.

Entusiasmo, temerarietà e coraggio sono alla base dell’ interessante esperimento che è diventato un modello di sviluppo turistico sostenibile del territorio, poiché trasforma l’abbandono dei luoghi in una risorsa. Una realtà di ospitalità diffusa basata sull’ecologia, che sta attirando turisti da ogni dove nel cuore medievale di un borgo che era destinato a diventare uno dei tanti paesi fantasmi di cui si sta purtroppo popolando l’Italia.

Nei vicoli stretti e tortuosi, i passi dei turisti – molti arrivano dal nord Europa – sembrano rivendicare nuova vita sui selciati non più percorsi da decenni. Dove prima regnava il silenzio, ora si sentono lingue diverse e voci di bambini, suoni che portano il respiro della speranza per un nuovo futuro. Camminano tra case addossate le une alle altre, residenze signorili che si aprono su piccole piazzette, caratteristici archi arabeggianti, giardini pensili e giochi architettonici di ripide scalinate. Si allungano sino alla macchia mediterranea che circonda Belmonte, lungo il fiume Veri, passando sotto le cascate fino ad arrivare sulla vetta del monte Cocuzzo, a 1541 metri sul livello del mare, tra alberi secolari che si affacciano a guardare, nelle giornate limpide, l’arcipelago delle Isole Eolie. E poi, naturalmente, le immersioni nel parco marino “Scogli di Isca”.

Ma come hanno fatto i sette amici a realizzare tutto questo? Partendo da una filosofia che li ha sempre uniti – “meglio accendere un fiammifero nella notte che limitarsi a maledire il buio”, raccontano a Repubblica – e che li ha spinti a superare ogni difficoltà. La prima è stata proprio quella di convincere le persone del luogo del valore sociale del progetto: un modello di ospitalità nuovo che, attraverso il recupero di vecchie abitazioni abbandonate o non utilizzate, promuove lo sviluppo turistico del territorio senza imporre nuove costruzioni e proponendo, più che un semplice soggiorno, un vero e proprio stile di vita. Una base da cui partire per portare i turisti curiosi alla scoperta di itinerari poco battuti, finalizzati alla conoscenza dell’arte e della cultura, di paesaggi, credenze popolari, suggestioni religiose, vestigia del passato più remoto.

Fonte: La Repubblica