"Era fame di vita" il libro testimonianza del reggino Giovanni Suraci

“Era fame di vita” è un libro da leggere da cima a fondo, in cui tralasciare anche la più piccola parola diviene impossibile

“Ci divertivamo con passatempi semplici, ma che riuscivano a darci momenti di vera felicità: nascondino, battimuro, rumbula, campanaro, partite al pallone”

Scrive così il neo-scrittore reggino Giovanni Suraci. Fra le prime pagine del suo libro possiamo trovare un passato narrato fin nei minimi dettagli, grazie ai quali riesce a suscitare nel lettore grandi emozioni, che vanno dalla nostalgia alla scoperta passando per lo stupore.

Stupore dovuto alla maestria dell’autore, che con metafore leggere, simpatiche ma indelebili riesce a catturare fotogrammi di una terra che vediamo ogni giorno, ma che spesso non apprezziamo abbastanza.

Montagne innevate che assumevano l’aspetto di grandi coni gelato tracimanti di panna”

Era fame di vita” è un complesso romanzo corale ambientato nel piccolo, ma non per questo poco importante, borgo di Santo Stefano in Aspromonte. Un paese dell’entroterra reggino, manifesto di una Calabria ricca di valori e tradizioni che col tempo sono andate, forse, a scemare.

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Un romanzo a primo impatto autobiografico che verso la conclusione sfocia in noir intrigante, che non manca di narrare gli aspetti più reconditi della vita di ogni essere umano.

Il libro-testimonianza di Giovanni Suraci è composto da 42 paragrafi, ognuno dei quali introduce nuovi personaggi, vecchi valori e racconta storie diverse che si intrecciano e si delineano fino a narrare non solo le condizioni del paese a quel tempo, ma anche lo sviluppo, il progresso di una terra troppo spesso criticata per la sua arretratezza.

Un romanzo che, soprattutto, nella prima metà evoca il bambino che è dentro di noi, e che ricorda sicuramente la scrittura di Pascoli, o quella di Antoine de Saint-Exupèry. Entrambi questi grandi autori sostenevano infatti che per guardare il mondo con stupore anche da adulti è necessario nutrire continuamente il fanciullo che è dentro di noi.

Era fame di vita” è un libro da leggere da cima a fondo, in cui tralasciare anche la più piccola parola diviene impossibile. Anche quando si tratta della dedica.

“Dedico questo libro agli studenti di ogni ordine e grado, ai loro genitori, ai loro nonni e a quelli che come me hanno vissuto e sono stati spettatori e protagonisti della veloce trasformazione della odierna società, ma soprattutto alla classe docente della scuola italiana, che ha l’impegnativo ma nobile scopo di formare i propri alunni.”

Una dedica appassionata, preludio di un libro senza destinatari precisi, in cui non si può parlare assolutamente di target. Un libro adatto ai giovani e non, sia che si tratti di appassionati di storia, di Calabria, di tradizioni, ma anche un romanzo ideale per chi ha voglia di leggere finalmente un buon libro.

Un’opera accurata, di una meticolosità tale che lascia il lettore senza fiato. Dove i temi trattati spaziano dalle tradizioni calabresi, come la macellazione dei maiali a cadenza annuale, alla solidarietà e altruismo pensavo che tutti dovessimo avere le stesse opportunità”, toccando anche gli albori dell’emancipazione femminile in un contesto storico in cui la donna era considerata un accessorio essenziale, ma secondario.

Dal romanzo si evince la fame di scrivere di Giovanni Suraci, che con questo suo primo libro si dimostra un grande autore e un fantastico interprete di vita. Emerge, infatti, dalle pagine scritte una sensibilità che possiede solo chi certi eventi li ha vissuti sulla propria pelle.

Lo stesso autore afferma del suo libro: “Il romanzo vuole rappresentare un punto di partenza per la lotta contro la ormai diffusa pigrizia fatalistica, che è purtroppo presente in ognuno di noi. […] Oggi più che mai abbiamo il compito di raccontare diversamente la Calabria. E’ compito di ognuno di noi fare emergere una Calabria positiva. […] Il libro descrive un periodo impregnato da tanta povertà, ma inzuppato da tanta, tanta, tanta dignità.”