Su Report il federalismo fiscale all’italiana: a Reggio mancano 41 milioni - VIDEO

È il risultato di un’inchiesta di Report e Openpolis che mostra le incongruenze della riforma incompleta del Titolo V della Costituzione

“Chi guadagna e chi perde con l’autonomia differenziata? Come sarebbe andata se avessimo applicato davvero il federalismo fiscale?”.

A domandarselo, l’altra sera, sulla terza rete nazionale, è stato il giornalista Sigfrido Ranucci, quale risultante, ovviamente polemica, dell’inchiesta in cui sono stati presentati i dati raccolti nel dossier “Il calcolo disuguale. La distribuzione delle risorse ai comuni per i servizi“, elaborato da Openpolis in collaborazione proprio con Report.

Una domanda la cui risposta, per alcuni, potrebbe sembrare scontata, ma che rivela incongruenze e zone d’ombra su quella legge (Calderoli) che, nel 2001, ha modificato il Titolo V della Costituzione, introducendo il concetto di federalismo fiscale. L’obiettivo era quello di dare maggiore autonomia alle regioni e agli altri livelli amministrativi, garantendo, almeno per i sostenitori, maggiore efficienza nella spesa pubblica. Per i detrattori del federalismo fiscale, quella riforma non era altro che una sorta di “secessione” della regioni più ricche del Nord, con il conseguente impoverimento della regioni del Mezzogiorno, dando nuova linfa all’eterna questione meridionale.

In realtà, l’intento era quello di distribuire risorse ai comuni, in maniera mirata, per migliorare la gestione dei servizi sul territorio. Erano stati fissati anche i criteri per la distribuzione di quelle risorse: l’articolo 117 stabilisce che lo Stato definisca le “funzioni fondamentali” dei comuni e i livelli essenziali di prestazione (Lep) con cui devono essere esercitate su tutto il territorio nazionale. Per garantire tali condizioni, l’articolo 119 della riforma prevede che lo stato metta a disposizione un fondo perequativo (si parla di circa 25 mld di spesa pubblica che riguarda i 6700 comuni delle 15 Regioni a Statuto ordinario), da distribuire in base a criteri di equità.

“Risorse destinate ad aiutare i territori più svantaggiati, cioè quelli che non riescono a svolgere le proprie funzioni fondamentali ai livelli di prestazione definiti, così da permettere a tutti i cittadini, a prescindere dal territorio in cui vivono, di accedere a dei servizi con un determinato livello di qualità”.

Nel 2010 sono state definite le 10 funzioni fondamentali dei comuni, tra le quali spiccano il trasporto pubblico comunale, raccolta e smaltimento dei rifiuti, servizi sociali comprensivi di asili nido. Ma clamorosamente, a quasi vent’anni da quella Riforma, lo Stato non ha ancora individuato i livelli essenziali di prestazione di quelle funzioni fondamentali.

Il metodo… all’italiana

Il paradosso di questa vicenda è che la grave mancanza della definizione dei Lep, ha generato la solita soluzione all’italiana. In mancanza di quanto richiesto dalla legge la ripartizione del fondo perequativo si è quindi basata su un calcolo che considera fabbisogni standard e capacità fiscali. “I fabbisogni standard sono indicatori che stimano per ogni ente locale, il fabbisogno finanziario necessario per svolgere le proprie funzioni fondamentali”.

La capacità fiscale, invece, è la stima delle risorse che un ente locale ricava dalle sole entrate tributarie del proprio territorio.

Per decidere come distribuire il fondo perequativo, viene calcolata per ogni comune la differenza tra il suo fabbisogno standard totale e la sua capacità fiscale. Se la differenza è positiva il fabbisogno è superiore alla capacità. Ciò significa che l’ente considerato non riesce con le proprie risorse a soddisfare il fabbisogno di servizi del proprio territorio. Per questo motivo, il comune riceverà risorse dal fondo. Se la differenza è negativa, il fabbisogno è inferiore alla capacità. Ciò significa che l’ente riesce con le entrate che ricava dal territorio a coprire il fabbisogno di servizi. Di conseguenza, verserà risorse al fondo, invece di riceverle.

Il risultato è che l’attuale sistema di perequazione delle risorse non basta a coprire i fabbisogni.

La mission tradita

Insomma, proprio quando una legge avrebbe potuto in qualche modo favorire territori e comuni svantaggiati, si è scelto di non decidere, capovolgendo la scala di valori e tradendo la stessa mission del fondo perequativo: un paradosso che penalizza soprattutto i comuni del sud “che offrono meno servizi per i quali spendono meno e quindi registrano fabbisogni inferiori. Al contrario, i territori del centro-nord e le grandi città, che hanno un’offerta di servizi ampia e diffusa sul territorio, hanno livelli di spesa più alti e quindi maggiori fabbisogni standard”.

Così la Calabria, anche in questa speciale classifica, si piazza all’ultimo dei quindici posti disponibili, con un fabbisogno standard per abitante pari a 535,90 euro.

In particolare: a Reggio (180 mila abitanti), il fabbisogno standard totale (calcolato su dati riferiti al 2016) è stimato in poco più di 104 milioni di euro, con un fabbisogno per abitante fissato a 571 euro (la differenza percentuale tra il fabbisogno standard pro capite reggino e il fabbisogno pro capite medio dei comuni con popolazione simile è pari a -20,79%); a Catanzaro (90 mila abitanti) il fabbisogno standard per abitante è di 540 euro e la differenza con comuni simili è -16,67%; a Cosenza è di 584 euro (la differenza -9,88%); a Vibo è di 532 (-9,99%); a Crotone è 499 euro (-22,98%).

Servizi sociali e dintorni

Tra le funzioni fondamentali affidate ai comuni, ai servizi sociali viene riconosciuto uno specifico fabbisogno standard.

“I livelli di spesa registrati sono più alti nel centro e nel nord Italia rispetto al sud. Questo perché i territori che offrono più servizi continuano a finanziarli nel corso del tempo per mantenerli attivi. Al contrario, comuni che non hanno risorse per offrire più servizi, spesso non hanno la possibilità di finanziare adeguatamente quelli già esistenti sul territorio”.

A Reggio la “spesa sociale” per abitante è di 36,63 euro; a Catanzaro è di 70; a Cosenza 105; a Vibo 17; e infine, a Crotone, è di 60 euro. Le famiglie in potenziale disagio economico (dati Istat 2011) sono il 5% a Reggio, il 4,5% a Catanzaro; a Vibo il 4,9%, a Cosenza il 4,6 e a Crotone il 7%.

“I comuni appartenenti alle regioni del centro e nord Italia registrano in media un livello di fabbisogno di servizi sociali superiore a quello delle regioni del sud. Al primo posto il Lazio, a quota 124 euro pro capite, seguito da Emilia Romagna e Liguria. Chiudono invece la classifica Basilicata,Calabria e Molise a soli 57 euro per abitante”.

Asili nido…tasto dolente

Le regioni del sud registrano in media, in questo specifico settore, la percentuale più bassa di copertura del servizio. E il divario con il centro nord rimane sempre in crescita, e nel 2016, relativamente all’offerta di asili nido, si è attestato al 20%.

Il divario che emerge tra il sud e il resto del paese è molto più ampio di quello rilevato in precedenza sui fabbisogni standard totali e sui fabbisogni di servizi sociali. Basti pensare che il fabbisogno standard di asili nido per residente 0-2 anni in Calabria si attesta sui 167 euro, e che la differenza con l’Emilia Romagna, la prima della classifica, è di 1776 euro. A Reggio il fabbisogno standard per asili nido è stimato in 59 euro (il divario medio dal fabbisogno di asili con citta simili è -96%); a Catanzaro è di 197 euro (-82%); a Cosenza 803 euro (-27,5%); a Vibo 460 (-42%); a Crotone 202 euro (-81%).

Il fondo di solidarietà comunale e la Costituzione applicata

“E’ finanziato dai comuni e ne beneficiano i comuni stessi, secondo un sistema di versamento o ricezione delle risorse. È alimentato, oltre che dal fondo perequativo, da quote che i comuni versano o ricevono in base a calcoli legati alle loro spese e risorse storiche. La logica che regola il Fsc dovrebbe essere quella della solidarietà: comuni più ricchi trasferiscono nel fondo parte delle loro risorse, che vengono destinate alle amministrazioni in difficoltà”.

L’inchiesta di Report e Openpolis mette il dito nella piaga quando parla di mancata trasparenza nella elaborazione dei criteri di ripartizione del fondo. Con dei calcoli incrociati e complicati, l’inchiesta rivela che se fosse applicato il dettato della Costituzione con la distribuzione del fondo di solidarietà comunale con i Livelli Essenziali delle Prestazione e perequazione al 100%, le risultanza sarebbero davvero diverse: a Reggio mancano più di 41 milioni di risorse, a Catanzaro 15, a Cosenza 9.

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