Reggio, Gioacchino Criaco presenta 'Il custode delle parole'

Il custode delle parole è un romanzo dai molti contrasti: montagna e mare, passato e futuro, vecchi e giovani

Se ad un popolo rubano le parole, quel popolo è morto. Ed è per questo che, quelle parole, è necessario custodirle.

Sta tutto in questo assunto il messaggio finale del libro di Gioacchino Criaco dal titolo “Il custode delle parole”, presentato in questi giorni presso la scuola superiore Mediatori linguistici di Catona, alla presenza dello stesso autore. L’evento, organizzato dall’associazione Agen, si inserisce in un programma ben preciso che vuole celebrare i 60 anni di attività dell’associazione, fondata dal prof. Antonino Caserta, che da sempre ha lo scopo di promuovere la cultura nel nostro territorio attraverso iniziative incisive che coinvolgono la cittadinanza sotto il profilo non solo culturale ma anche ambientale e turistico.

“La kermesse “Incontro con l’autore” è stata tenuta a battesimo da Gioacchino Criaco – afferma l’avvocato Nino Scimoni, presidente A.Gen – perché volevamo iniziare in grande, portando un autore di spessore che potesse raccontare il nostro territorio in maniera autentica, aprendo la strada ai successivi appuntamenti che avranno una cadenza mensile e che si concluderanno in agosto con uno spettacolo teatrale e musicale”.

Rossi, Cama, Criaco, Scimoni

Il custode delle parole è un romanzo dai molti contrasti: montagna e mare, passato e futuro, vecchi e giovani. A dare vita a queste contrapposizioni ci sono il nonno Andrìa, pastore da generazioni, custode di un mondo antico e di una lingua che stanno per essere soppiantati dalla “fiumana del progresso” e il nipote, che dal nonno ha preso solo il nome ma non l’amore per la montagna e per il lavoro di famiglia. Il giovane Andrìa non sa ancora cosa farà da grande, sa però che non vuole fare il pastore e nel frattempo lavora in un call center, ha paura della montagna che gli evoca sensazioni di solitudine e ama il mare che per lui rappresenta la libertà. Due mondi, due generazioni in apparente antitesi che, alla fine, troveranno una fusione. Sarà proprio dal mare che arriverà la svolta e avrà gli occhi scuri di Ydir, giovane migrante libico che Andrìa salva dal naufragio di un barcone nelle acque Joniche. Quando il nonno prende clandestinamente Ydir a lavorare con sè, tutto cambia agli occhi del nipote. Quel mondo di cui tanto aveva paura gli sembrerà l’unico possibile da abitare e lo abbraccerà con consapevolezza e meraviglia. Andrìa e Ydir si salvano a vicenda.

A presentare l’incontro e introdurre l’autore, è stata la prof.ssa Anna Maria Cama, dirigente scolastico, componente del direttivo e referente per la sezione cultura dell’A.gen, che ha concretamente reso possibile l’incontro con lo scrittore.

Criaco Il Custode Delle Parole

“Criaco – afferma la prof.ssa Cama – ci offre una visione forte e diretta del popolo calabrese di cui descrive le caratteristiche più vere e genuine. Ha la capacità di metterci davanti ad uno specchio, la lettura di un suo libro apre, per ogni calabrese, riflessioni profonde; ci sono aspetti che ricorrono anche negli altri suoi libri quali il rapporto con l’ambiente e con l’Aspromonte, una montagna percepita “aspra” solo per un “inganno latino”, una montagna che in realtà è “lucente”.

Dopo la lettura di questo libro –  prosegue la prof.ssa Cama – sono almeno due le verità che restano addosso: la Xenìa, il senso di ospitalità, che deve tornare al centro dell’anima del popolo calabrese e favorire il dialogo tra le sponde del Mediterraneo; e l’importanza delle parole poiché esse scandiscono la nostra natura. Se perdiamo le parole, perdiamo noi stessi quindi la loro custodia non è banale folklore ma piuttosto un atto eroico e denso di significato”. Una lectio magistralis che ha fornito ai presenti  numerosi spunti di riflessione, innescando una serie di domande alle quali Criaco ha risposto con generosità e accuratezza. Ma da quale urgenza narrativa nasce quest’opera?

“Nasce dalla consapevolezza che noi avevamo perso tutto un mondo in cui le parole rappresentavano il contatto culturale con il contesto – risponde Criaco – La parola è la relazione che una civiltà stabilisce con tutto ciò che c’è intorno, se questo rapporto scompare noi viviamo in un contesto che non amiamo più e da questo nasce poi la cultura del disamore, per cui noi facciamo sfregi alla nostra terra non perché non l’amiamo più ma perché non abbiamo più le parole per conoscerla e per amarla. Le stesse contrapposizioni presenti nel romanzo – prosegue l’autore – trovano sintesi proprio attraverso la riscoperta delle parole esatte da usare”.