22 luglio 1970, cinquant’anni dalla strage di Gioia Tauro

Una strage orrenda, con decine di feriti che vengono soccorsi dalla stessa popolazione di Gioia


Un ordigno che esplode, un treno che impazzisce sui binari, le carrozze che si accartocciano l’una sulle altre, le urla che confondono dolore e paura. Nella strage del “treno del sole” c’è compendiato tutto l’inventario degli anni più neri della storia della Repubblica.

Una storia fatta di servizi deviati, interessi masso ‘ndranghetistici ed eversione nera, sullo sfondo di una città, Reggio Calabria, che brucia ormai da otto giorni e che ha da pochissimo seppellito il primo dei morti della rivolta per il capoluogo. Oggi sono cinquanta anni esatti dalla strage in cui morirono 6 persone (tutti siciliani, tutti appartenenti ad un gruppo in viaggio verso Lourdes) e altre 70 rimasero ferite, in quello che per anni – fino al 1993, fino al pentimento del collaboratore di giustizia Giacomo Lauro – era stato archiviato come un tragico incidente.

Una strage dai contorni mai precisamente definiti e che si lega con un altro strano “incidente”, quello avvenuto sull’autostrada del sole a due pasi dalla Capitale in cui, a due mesi dal deragliamento mortale della freccia del sud, persero la vita cinque ragazzi giovanissimi. Tutti appartenenti alla galassia anarchica attiva in città, i cinque giovani si erano messi in viaggio verso Roma per portare, così racconteranno molti testimoni negli anni a venire, documenti e prove frutto della loro opera di controinformazione proprio sui legami tra l’eversione nera, la lotta per il capoluogo e la strage del treno; ma a Roma non ci arriveranno mai, morti in seguito ad uno schianto nel comune di Ferentino. Nemmeno le carte di cui i giovani avevano parlato prima della loro partenza verranno mai rinvenute. Una “piccola” strage archiviata piuttosto frettolosamente come incidente e di cui parlerà, anche se le dichiarazioni non porteranno ad alcuna verità giudiziaria, anche il pentito Carmine Dominici, e che finirà inghiottita nel vortice di uno dei periodi più rischiosi per la tenuta democratica del Paese.

IL TRENO DEL SOLE

Sono circa 200 i passeggeri che quel pomeriggio del 22 luglio 1970 affollano le carrozze del convoglio che dalla Sicilia viaggia verso il nord. Storie normali di persone normali che incroceranno la strada di un attentato che, stabiliranno i processi, sarebbe stato ideato all’interno di quella eversione di stampo fascista che vide Reggio, suo malgrado, come punto di snodo nella preparazione del fallito colpo di Stato di Valerio Borghese. Il viaggio fino a quel momento era filato via tranquillo, anche se c’è già un discreto ritardo sulla tabella di marcia.

Superato il ponte sul fiume Petrace, al confine tra i comuni di Palmi e Gioia Tauro, la stazione della città del porto è già in vista, quando il macchinista si accorge che qualcosa sta andando storto. Appena attivato il freno d’emergenza – il convoglio in quel punto, visto che non deve fermarsi in stazione, viaggia attorno ai 90 km orari – le cose precipitano. Le prime cinque carrozze risentono del colpo ma fortunatamente restano sui binari, il resto dei vagoni invece inizia a comprimersi, deragliando. Uno di essi si piega su se stesso, finendo su un fianco e scivolando per decine di metri lontano dai binari. In totale saranno 12 i vagoni interessati dal deragliamento.

Una strage orrenda, con decine di feriti che vengono soccorsi dalla stessa popolazione di Gioia. A provocare l’impazzimento del convoglio, diranno le perizie, la mancanza di un tratto di binari di meno di due metri che corrisponderebbe al danno provocato da una piccola carica di esplosivo. E se in un primo momento le indagini punteranno sull’errore umano – i macchinisti che erano stati processati per disastro colposo vennero tutti assolti – fu solo a distanza di più di venti anni che la verità, almeno una parte di essa, fu potuta essere ricostruita grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Lauro. Il pentito racconterà ai giudici di essere stato lui a consegnare l’esplosivo e di avere ricevuto un compenso dal comitato d’azione per Reggio Capoluogo.  Una verità giudiziaria monca – alla fine i reati per Lauro, l’unico colpevole finito sotto processo, finiranno prescritti – che si perde nelle nebbie degli anni dell’eversione e che, scrivevano i giudici nelle motivazioni della sentenza «giunge tardiva per la tardività delle notizie e la deviazione delle indagini».