Littizzetto e la letterina ai fuorisede: ‘Tre aerei per un abbraccio, meritate rispetto’ – VIDEO

"Per me, sono soltanto eroi". Le toccanti parole a Chetempochefa

littizetto letterina fuorisede

A ridosso del Natale, quando le luci si accendono e le distanze pesano di più, Luciana Littizzetto trova ancora una volta le parole giuste. Lo fa con la sua “letterina” letta a Che tempo che fa, dedicata a chi vive lontano da casa per studiare o lavorare. Ai fuori sede. A chi torna solo contando i giorni.

È una lettera che fa sorridere e stringe lo stomaco. Perché parla di stanze troppo piccole, di cucine improvvisate, di viaggi improbabili. Ma soprattutto parla di sacrifici. “Carissimo studente fuorisede, portatore sano di vitalità e aria nuova”, esordisce Littizzetto, tratteggiando una generazione che si arrangia, consuma “caffè, tonno e sigarette rollate” e vive sospesa tra un Flixbus e un Intercity notte.

Sono “eroi”, li definisce così. E in quella parola c’è tutto. C’è chi vive “in stanze grandi come una prigione del Nicaragua”, chi guarda le case nei film e prova invidia, chi a Natale sogna solo una cosa: tornare a casa. Tornare a essere figlio, anche solo per una settimana.

Poi arriva il punto dolente. Il viaggio. I biglietti. I costi. “Quei numeri sul sito delle ferrovie non sono le misure della Ferilli, ma il costo del biglietto di seconda classe per Catanzaro”. La risata si ferma lì. Perché dietro la battuta c’è una verità nota a tutti: studiare è un diritto, tornare a casa molto meno.

Da qui il paradosso, spinto fino all’assurdo.

“Caro studente, cara studentessa o saggista, non essere pessimista perché hai delle alternative. Se da Milano devi andare a Lecce, non prendere il volo diretto, passa da Kiev, fai una pausa pipì nel cesso d’oro dell’amico di Zelensky, poi vai a piedi fino alla Transiberiana, scendi a Vladivostok e da lì volo low cost fino a Bari e poi ti fai venire a prendere dallo zio Marcello con la macchina. Devi andare da Bologna a Cagliari? Passa dal Vietnam, risali il fiume Mekong in piroga e poi dalla Cambogia diretto verso la Sardegna. Torino-Palermo? Vai a Tripoli, ti fai arrestare come immigrato, vai nel CPR in Albania, quelli che funzioneranno, poi da Tirana un diretto per Palermo”.

E poi il treno.

Si passa dall’alta velocità all’alta probabilità di non arrivare in tempo”. Una frase che fotografa un Paese spaccato, dove la distanza non è solo geografica.

“Vogliamo la rivoluzione bolscevica dei trasporti? No. Però quando il premier o il ministro si lamentano degli scioperi prima del weekend vogliamo anche noi sentirci liberi di dire che nessuno fa niente per gli aumenti prima delle feste”.

Il finale è quello che resta addosso, come una sensazione sgradevole, ma dal sapore della verità:

“Caro studente, stagista o lavoratore fuorisede, tu meriti il rispetto, meriti un paese che non ti costringa a cambiare tre aerei per un abbraccio”.

È qui che la letterina smette di far ridere e diventa carezza. Littizzetto parla da madre. Da madre di tutti.

“Perché tu sei un pezzo dell’Italia che resiste, la parte bella, quella che si muove, studia, lavora, fatica, ma anche quella che non dimentica mai da dove viene. Buon viaggio e da mamma quale sono ti dico scrivi quando parti e se parti”.

In queste parole c’è l’Italia che va via ma non si dimentica. Quella che studia, lavora, resiste. E che a Natale torna. Anche facendo il giro del mondo.