Salute mentale e i suoi disturbi. L’ADHD: la stella polare dei disturbi del neurosviluppo

Neurodivergenze e neurodiversità: andiamo ad approfondire il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, noto ai più con l'acronimo di ADHD

L’ADHD: significato clinico

In questo secondo appuntamento con la rubrica relativa a neurodivergenze e neurodiversità, andiamo ad approfondire il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, noto ai più con l’acronimo di ADHD. Si distinguono tre forme cliniche: a predominanza della componente inattentiva; a prevalenza della componente iperattiva; con caratteristiche combinate di entrambe le componenti (forma combinata).

L’origine dell’ADHD è multifattoriale e coinvolge fattori genetici e ambientali. Secondo i criteri dell’APA (American Psychiatric Association), la diagnosi richiede la presenza di almeno sei sintomi di disattenzione e/o sei sintomi di iperattività che devono persistere per almeno 6 mesi e coinvolgere diverse aree della vita e delle attività quotidiane, tra questi questi l’incapacità di prestare attenzione ai dettagli, la difficoltà nell’organizzare e portare a compimento task ed attività, insieme all’irrequietezza motoria ed l’incapacità di rimanere seduti.

La WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità) stima che circa il 4% della popolazione sia affetta da ADHD mentre in Italia tale prevalenza sarebbe tra il 2,8% ed il 7,3%. I soggetti con ADHD possono sperimentare difficoltà specifiche nella pianificazione delle attività e nell’assegnare alle stesse il giusto ordine di priorità, ma anche nell’organizzazione e nella gestione del tempo. Queste difficoltà possono influenzare la capacità di studiare, lavorare, gestire le responsabilità, sviluppare e mantenere relazioni sociali, godersi il tempo libero e rilassarsi.

Possono anche influenzare negativamente la fiducia in se stessi e l’autostima, favorendo lo sviluppo di patologie psichiatriche concomitanti come disturbi depressivi, disturbi d’ansia, ecc.

Trattamento dell’ADHD: farmaci o psicoeducazione?

Le attuali linee guida per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività fanno riferimento a terapie di tipo farmacologico (stimolanti con prevalente azione a carico del sistema dopaminergico) e psicologico ( cognitivo-comportamentale).

L’intervento farmacologico sarebbe più efficace nel ridurre i sintomi principali dell’ADHD, mentre i trattamenti psicologici fornirebbero un supporto per ridurre l’impatto quotidiano dei sintomi e delle difficoltà ad essi correlati.

L’ADHD: fenomeno sociale

Nel corso dell’ultimo decennio l’ADHD ha acquisito le caratteristiche di fenomeno di massa in quanto, presente diffusamente nei nuovi social network, ha indotto molti giovani a rispecchiarsi. Ovviamente lafenomenicadell’iperattività va conntestualizzata e valutata da un medico specialista che dovrà discernere di caso in caso. Se da un lato è vero che in passato tutti i disturbi del neurosviluppo ed in particolar modo l’ADHD venivano spesso non riconosciuti e non trattati, è anche vero che un eccesso di diagnosi (figlia anche delle tendenze perfezionistiche ed iperproduttive del mondo odierno) può determinare un eccesso di intervento terapeutico

L’elefante nella stanza: è tutto ADHD ciò che luccica?

Ultima osservazione che riteniamo di indubbia rilevanza è la complessità della diagnosi differenziale dell’ADHD con le altre numerose patologie mentali dal momento che, ad esempio, l’attenzione, funzione fondamentale in tutti i nostri processi esecutivi, può essere compromessa, anche transitoriamente, in un’ampissima serie di disturbi psicologici e/o neurobiologici. Tipico esempio è il Disturbo d’ansia che presenta tra i numerosi sintomi la difficoltà a prestare attenzione nelle varie attività e e ela tendenza a dimenticare quanto viene riferito. Pertanto, risulta fondamentale l’intervento del clinico che dovrà effettuare una diagnosi differenziale tra i vari disturbi che possono presentare una fenomenica sovrapponibile.