Prevenire l'infarto è possibile? Ecco la molecola scoperta dall'Università della Calabria

Si chiama "Selenoproteina T 43-52", in futuro potrà prevenire l’infarto e proteggere il cuore nella terapia medica. La rivoluzione nel campo medico viene dalla Calabria

Il brevetto della nuova proteina, la Selenoproteina T 43-52, che potrà in futuro sia prevenire l’infarto, sia intervenire per proteggere il cuore nella terapia medica post-infarto, è nato all’Università della Calabria.

La scoperta si deve al Laboratorio di Fisiopatologia cellulare e molecolare cardiaca, diretto dal professor Tommaso Angelone, al DIBEST- Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra – dell’Ateneo.

Il merito va, in particolar modo, a Carmine Rocca, uno di quei ricercatori del Sud con pedegree universitario di altissimo livello – lui se l’è costruito in biologia – che ha deciso di rientrare dalla Francia nella sua terra, la Calabria, per continuare a fare ricerca.

Ma avrebbe potuto vedere ragionevolmente la luce in un altro team, all’estero, all’Unità INSERM – Unit of Neuronal ad Neuroendocrine Differentiation and Communication – dell’Università di Rouen, eccellenza nel mondo per le malattie neuro degenerative. Qui, Carmine Rocca, dopo la laurea a pieni voti e un dottorato di ricerca triennale all’Unical, ha conseguito un dottorato di ricerca internazionale.

«Da quindici anni – spiega – il nostro laboratorio collabora con l’Università di Rouen. Da tempo gli studi si sono concentrati su una proteina che contiene selenio e che è prodotta dal corpo umano, dalla fase fetale sino al completo sviluppo. In età adulta la produzione si blocca nel cuore.

Tuttavia, nel caso di un evento dannoso, quello che si definisce “stress ossidativo” del cuore – ma vale anche nel caso del cervello o del fegato – la proteina interviene con una iperproduzione. Accade nell’infarto del miocardio, ma anche nell’infarto del cervello – questo spiega la collaborazione con l’INSERM – dove la proteina torna a esprimersi, inibendo l’eccessiva ossidazione delle cellule. È come se fosse una lampadina che si accende quando l’organo è stressato».

Grazie alla ricerca si è riusciti ad identificare una piccolissima parte di questa proteina, quella più intelligente nel mediare l’attività biologica dopo un infarto. Identificarla però non era sufficiente, per questo motivo i ricercatori dell’Unical sono riusciti anche a riprodurla in laboratorio per sintesi chimica e l’hanno denominata: “Selenoproteina T 43-52“.

Questa speciale proteina svolge la sua attività con soli 10 amminoacidi e il brevetto internazionale, valido in tutti i Paesi del mondo, ottenuto l’11 aprile 2019, dalla WIPO – Word Intellectual Property Organization.

Grazie a questa molecola, nel momento in cui potesse essere usata come farmaco, nei pazienti sottoposti a terapia post-infarto, si potrebbero limitare i cosiddetti danni dalla cosiddetta ischemia/riperfusione. Questi sono generati dall’afflusso di sangue al cuore che, da una parte ne ripristina la funzionalità, dall’altra, tuttavia, provoca uno stress ossidativo delle cellule. Quest’ultimo può essere bloccato grazie alla Selenoproteina T 43-52 che, aggiunta in una terapia di cura, potrebbe aumentare i benefici della sopravvivenza al trauma.

Un secondo aspetto molto importante è dato dal fatto che un farmaco a base della Selenoproteina T 43-52 potrebbe essere utilizzato come cardioprotettore in soggetti a rischio, come le persone obese. I risultati della cosiddetta fase pre-clinica, spiega il giovane scienziato:

«Sono molto incoraggianti su entrambe le applicazioni. Somministrando la molecola ad una cavia soggetta a infarto, è emerso che l’area del cuore danneggiata è meno estesa di quella di una cavia non sottoposta alla stessa terapia. Analogamente, considerato che l’obesità è uno dei fattori di rischio per l’infarto, cavie severamente obese trattate con la molecola innovativa hanno mostrato un minore danno da ischemia/riperfusione rispetto a quelle non trattate».

Interrogato sulle prospettive di sviluppo della ricerca, Carmine risponde felice che per i prossimi due anni, fortunatamente, non ci saranno problemi di denaro per andare avanti nel progetto.

«Proprio la settimana scorsa, mentre il nostro gruppo si preparava a presentare il brevetto a Milano, ad InnovAgorà, abbiamo appreso di aver vinto i fondi per continuare, rispondendo a una call del MIUR destinata alle Regioni del Mezzogiorno, per l’assegnazione di finanziamenti su progetti di ricerca Proof of Concept nell’ area Salute, giunti già al test sugli animali. Abbiamo ottenuto un’ottima qualificazione».

Il progetto, partito grazie ai fondi dell’Unical e ai finanziamenti ottenuti dal progetto Galileo dell’Università Italo Francese di Torino, è stato sviluppato anche con i fondi resi disponibili dall’INSERM dell’Università di Rouen.

«Il punto, conclude Carmine, è che in Italia occorrerebbe investire molto di più in ricerca, come fanno ad esempio in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Avremmo bisogno di sapere che, una volta conclusa la fase pre-clinica, in presenza di risultati, si va comunque avanti».

Fonte: quotidianodelsud.it