Il mondo dietro le sbarre, CityNow a tu per tu con Agostino Siviglia

di Maria Carmela Di Marte - Agostino Siviglia, avv

di Maria Carmela Di Marte – Agostino Siviglia, avvocato e criminologo, esperto in criminalità, devianza e sistema penitenziario, è stato nominato nel 2015 Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Reggio Calabria. Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto alcune domande sul ruolo che svolge, sulla situazione detentiva in Calabria ed in generale su diritti e doveri della sua professione.

Quale garante dei diritti dei detenuti, in cosa consiste nello specifico il suo lavoro?

La funzione del garante è duplice: da una parte deve garantire i diritti non solo dei detenuti, ma di tutte le persone private della libertà individuale; quindi tutti i diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla sanità, all’istruzione, alle attività culturali; inoltre svolge la funzione di mediazione, fa da ponte tra le istituzioni totalizzanti penitenziarie e il mondo civile. Comprende inoltre la tutela dei diritti delle persone detenute, il sostegno e accompagnamento nel percorso di recupero sociale e riabilitativo delle stesse persone, infine l’assicurazione che la pena svolga la sua funzione riabilitativa”.

Quali le difficoltà che giornalmente riscontra lavorando in un territorio come quello di Reggio Calabria?

Le difficoltà sono molteplici e trasversali. Arghillà ad esempio ha quasi 80 detenuti di etnia straniera, tossicodipendenti, e mancando delle strutture come un campo di calcio, diventa difficile attenersi ad un giusto piano rieducativo. Il carcere di San Pietro invece è giudiziario, con imputati che hanno processi delicati, ed è più complicato avere colloqui con i detenuti per via dei nullaosta da richiedere a tutela delle indagini in corso. Sono pochi i detenuti in via definitiva e pertanto diventa difficile stabilire un rapporto di lunga durata. Vi è inoltre una sezione femminile che richiede un’attenzione particolare e una diversità modalità di esecuzione della pena”.

In merito all’episodio del mese scorso, (un detenuto è stato morso in volto da un topo nel carcere di Reggio Calabria), quale il suo commento?

“E’ stato un episodio spiacevole. Ho fatto le opportune verifiche e constatato che la derattizzazione è stata fatta; c’era un problema relativo alla rete fognaria che è stato riparato, ed ho inoltre fatto una verifica sulla cartella clinica del detenuto, verificando che sono stati predisposti tutti gli accertamenti, e che le analisi hanno confermato che non sono state riscontrare patologie collegabili all’accaduto. Una odiosa e inaccettabile fatalità che si è verificata, che non dovrà mai più accadere. Come garante vigilerò affinché non accada, denunciando sempre situazioni come queste”.

Crede nella funzione riabilitativa del carcere, e soprattutto è dell’avviso che le strutture penitenziarie di Reggio siano efficienti per quel che concerne la funzione di recupero sociale del detenuto, oppure si possono ancora definire una sorta di carcere punitivo?

Credo fermamente nella funzione riabilitativa del carcere, altrimenti non potrei fare il garante. Amo la legge e il diritto perché penso come Papa Francesco, “perché loro e non io?”. Io non mi sento migliore delle persone che vado a visitare. Mi rendo conto che tutti possono commettere un errore, ma vivo la mia funzione di garante convinto di questo ideale costituzionale: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non mi azzardo a definire i sistemi di Reggio come punitivi nonostante le molte manchevolezze, perché i volontari, le guardie carcerarie e tutti coloro che lavorano all’interno, cercano di svolgere il loro lavoro al meglio”.

E’ dell’avviso che la comunità, il Primo Cittadino e la Regione stessa, diano poca importanza alla situazione dei detenuti in Calabria o invece il lavoro fatto risulta invece sufficiente?

La comunità in generale ha sempre considerato il mondo della detenzione a parte, nella letteratura di settore il carcere veniva definito come “pianeta carcere”, come fosse un mondo parallelo al mondo reale. Personalmente ho sempre sostenuto che il carcere non è un problema della società, ma è parte della società e la società deve farsene carico. Il Primo Cittadino e Reggio Calabria sono in netta discontinuità, perché quest’ultima è l’unica ad avere un garante, un ufficio con giovani che a titolo gratuito svolgono funzione tecnica, che ha puntato su una nuova stagione di diritti e doveri, anche per chi vuol avere una nuova opportunità. Come i 6 detenuti di Arghillà che per un anno si stanno occupando della manutenzione del verde pubblico a titolo gratuito in favore della società”.

Cosa cambierebbe e cosa invece le piace del suo lavoro?

“Cambierei la indennità, visto che lavoro gratis, e penso che questo non sia giusto perché il lavoro garantito deve essere retribuito. La disponibilità a titolo gratuito che ho dato due anni fa era motivata da uno spirito di coscienza civile, vista la situazione economica del comune. Questo lo dico con il sorriso sulle labbra e convinto che si tratti di una garanzia costituzionale. Luigino Bruni, economista, sosteneva che la gratuità riguarda il valore intrinseco dell’essere umano, ma le sue competenze e professionalità poi devono essere oggetto di un contratto, e il contratto non può equivalere a zero”. 

Ha un episodio che le sta particolarmente a cuore, e di cui si è occupato da quando è garante dei diritti dei detenuti di Reggio Calabria?

“Fra i tanti quello che mi ha colpito riguarda Rosa Della Corte, passata alle cronache come la Mantide di Casalino, una donna accusata di aver ucciso il fidanzato e in carcere dall’età di 18 anni fino ai 34. Si è sempre protesa innocente e quando l’ho vista lo scorso anno mi ha detto: io fra una settimana esco e ho paura, perché fino ad ora mi ha protetta. Ora non so più cosa mi aspetta. Quelle parole mi colpirono, perché l’idea di vedere il carcere come una dimensione di protezione e avere paura della libertà, quale invece dovrebbe essere un momento di entusiasmo, di gioia, mi ha colpito. Ora vive in Puglia e ogni tanto la sento per sapere se il suo percorso continua, se va bene la riabilitazione. Sarebbe bello che lei adesso potesse trovare un pò di felicità in una vita nuova e diversa. La possibilità di vedere una vita riscattata dal male verso il bene è una delle cose più gratificanti. D’altronde come diceva qualcuno: C’è più potenza e perfezione nel trarre il bene dal male, che nell’impedire al male di esistere”. 

E’ dell’avviso che i figli dei detenuti indagati per reati di ‘ndrangheta – che cercano di farsi spazio nell’ambiente scolastico o nel mondo del lavoro – soprattutto nel nostro territorio, siano in qualche modo penalizzati?

“Indipendentemente dal merito del processo, costituzionalmente la responsabilità penale è personale, perciò non possono e non devono ricadere le conseguenze di un familiare su una persona. Questa purtroppo è una condizione denominata in sociologia “teoria dell’etichettamento”, dove una sedicente sottocultura sociale finisce per etichettare un’altra sedicente sottocultura, che alla fine contribuisce a formare quella sottocultura di cui si lamenta  strutturando una personalità deviante. Deploro il fatto che si possano etichettare le persone per causa di una parentela, ma soprattutto è nel mio interesse di cittadino ed avvocato combattere che non sia così, perché ogni persona deve rispondere delle sue scelte di vita personale, e nessuno si può arrogare il diritto di giudicare una persona perché viene da un certo ambiente o porti un determinato cognome. Credo che ogni persona può scegliere tante cose ma non dove nascere; questo non significa che non possa fare una scelta di vita onesta e libera pur amando i suoi parenti”.

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