Uccide il figlio di 8 anni e si suicida: la giovinezza in Calabria, il fratello morto e la depressione

La madre era nata e cresciuta in Calabria. Chi era Najoua Minniti, la 36enne di origini reggine al centro della tragedia di Calimera

Najoua Minniti

Una tragedia sconvolge il Salento, dove martedì 18 novembre sono stati ritrovati senza vita una madre di 35 anni e il suo bambino di 8 anni, nel comune di Calimera, in provincia di Lecce.

Najoua Minniti, conosciuta come Gioia, e il piccolo Elia sono stati trovati in due luoghi distinti, a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Il primo ritrovamento, avvenuto nel pomeriggio, ha visto il corpo della donna rinvenuto in mare a Torre dell’Orso, a circa 20 chilometri dal paese. In serata, la tragica scoperta nella casa di via Montinari a Calimera, dove il bambino è stato trovato privo di vita nella sua cameretta, con segni di violenza.

A dare l’allarme è stato l’ex marito della donna, preoccupato per l’assenza della madre alla scuola del piccolo Elia, episodio che ha sollevato il sospetto di un possibile malessere. Dopo la denuncia di scomparsa, sono iniziate le ricerche che hanno portato ai due ritrovamenti. Le indagini sono in corso, con i carabinieri al lavoro per ricostruire le ultime ore di vita di Najoua e del figlio.

Najoua Minniti, figlia di Leila Mouelhi, originaria della Tunisia, aveva radici calabresi: nata a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, ha vissuto parte della sua giovinezza tra la Calabria. La madre, Leila, si era trasferita in Italia da bambina, stabilendosi nella provincia reggina dove ha incontrato il marito italiano, con il quale ha formato una famiglia. Najoua aveva sempre portato con sé un’identità sospesa tra due mondi, quella tunisina e quella calabrese, un retaggio che ha segnato anche la sua crescita e formazione.

Appassionata di reggae e amante dei cani, Gioia aveva trascorso anni della sua vita a Parma, dove aveva avviato un legame con Fabio, salentino, dal quale avrebbe avuto il figlio Elia. Il loro legame si era consolidato nel tempo, tanto che ogni estate tornavano in Puglia, per trascorrere insieme le vacanze.

Nel dicembre del 2014, una tragedia segnò la vita di Najoua: la morte del fratello, una perdita che la donna non aveva mai dimenticato. Nel 2020, un nuovo capitolo: dopo la separazione, si trasferì a Calimera, nel cuore del Salento, dove avrebbe cercato di ricostruire la sua vita insieme al figlio. Durante il periodo del Covid, la sua presenza sui social dimostrava un grande amore per Elia, ma anche un forte tormento interiore. La donna scriveva dei suoi sentimenti da madre, come il distacco che sentiva ogni volta che usciva di casa:

«Mi si stringe il cuore, ma il distacco serve tanto a me e anche a lui».

Tuttavia, dietro alla quotidianità apparentemente serena di una madre separata, c’era un dolore profondo, che secondo le indagini si stava manifestando attraverso periodi di fragilità emotiva. Najoua aveva avuto momenti di sconforto e, secondo alcune testimonianze, avrebbe anche espresso intenzioni suicide, creando preoccupazione per la sua capacità di proteggere se stessa e il figlio.

Il tatuaggio del fiore di loto che Najoua portava sulla spalla, simbolo della sua forza interiore, è stato uno degli elementi che ha permesso di identificarla. Un simbolo che, come scritto dalla stessa donna sui suoi social, rappresenta

“il potere della resistenza psicologica, la capacità di trasformare le avversità in potenzialità.”

La dinamica dell’accaduto, al momento, porta gli investigatori a ipotizzare un tragico omicidio-suicidio, con il dolore interiore della madre che sembra aver avuto un ruolo devastante in questo doppio dramma familiare. La comunità di Calimera è sotto shock, mentre il Salento e la Calabria intera si stringono attorno alla memoria di Najoua e del piccolo Elia.