Salute mentale e i suoi disturbi: l’ansia fra fisiologia e patologia

Cos'è l'ansia? Causa, sintomi e disturbi. L'approfondimento della dott.ssa Iannuzzo, dell'Istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria, nel nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla salute mentale

Salute mentale e i suoi disturbi”, questo il nome della rubrica che ospiterà, sul nostro giornale, articoli redatti dai professionisti dell’Istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria, per discutere di salute mentale e dei disturbi ad essa correlati con lo scopo di sensibilizzare la comunità e, in tal modo, ridimensionare lo stigma che, da sempre, accompagna quest’area di patologia.

In questo articolo, a cura della dott.ssa Fiammetta Iannuzzo, si discuterà di ansia, fra fisiologia e patologia.

Ansia fra fisiologa e patologia

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Il termine “ansia” è largamente usato nella vita di tutti i giorni, tuttavia risulta complesso darne una definizione chiara ed univoca. L’ansia è una condizione affettiva che si può manifestare con intensità diverse e che può essere dovuta a molteplici cause. Sebbene talvolta l’ansia assuma aspetti patologici (ansia patologica), esiste una condizione fisiologica di ansia, fenomeno fondamentale per la nostra sopravvivenza (ansia fisiologica).

L’ansia fisiologica è un’emozione di base e i meccanismi emozionali di base costituiscono il substrato evolutivo comune a tutti gli esseri viventi. Jaak Panksepp, neuroscienziato e psicobiologo, identifica sei sistemi emozionali di base; il sistema fear corrisponde proprio alle sensazioni di paura e ansia ed è sotteso da specifici circuiti neuronali e strutture anatomiche quali ad esempio l’amigdala e l’ipotalamo e coinvolge anche vari neurotrasmettitori come catecolamine e serotonina e diversi ormoni fra cui il cortisolo. Il sistema fear ci permette di adattarci all’ambiente e, da un punto di vista evolutivo, ci consente di affrontare situazioni potenzialmente pericolose. La reazione di adattamento è definita  reazione di “attacco o fuga” (fight or flight), ovvero un tipo di reazione che si manifesta in risposta a un evento percepito come pericoloso. Tale reazione di “ipereccitazione” (o hyperarousal) è correlata alla secrezione di catecolamine, dopamina e serotonina, assieme ad ormoni come estrogeno, testosterone e cortisolo e determina  mutamenti fisiologici che danno al corpo maggior vigore e velocità e, anticipando la necessità di combattere o di correre, producono una complessa combinazione di sintomi e segni quali preoccupazione, timore e sensazioni fisiche come palpitazioni, vertigini, tensioni muscolari e accelerazione del battito cardiaco.

Questo stato emozionale che, se fisiologico, è adattativo e necessario alla sopravvivenza, muovendosi su un continuum dimensionale può sconfinare nella patologia fino a compromettere il funzionamento globale dell’individuo.

I disturbi d’ansia sono la patologia psichiatrica più diffusa, la cui prevalenza lifetime è superiore al 31%, con una netta preponderanza nel sesso femminile. L’ansia patologica viene esperita contemporaneamente sul piano somatico (con sintomi come aumento della pressione, tachicardia, tachipnea) e sul piano psichico (con una intensificazione dello stato di veglia e uno sgradevole vissuto emotivo). Il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico del Disturbi Mentali) classifica diversi tipi di disturbi d’ansia distinguendoli sulla base di segni e sintomi differenti ma riconoscendo dei fattori comuni alla base di ciascun disturbo:

  • paura: reazione d’allarme determinata da una minaccia precisa;
  • fobia: reazione esagerata di fronte ad uno stimolo noto che non induce la stessa reazione nella maggioranza statistica della popolazione;
  • ansia sine materia: reazione non determinata da alcuna specifica situazione.

Altra lettura ha l’ansia interpretata in chiave psicodinamica.

Freud coniò il termine “nevrosi d’angoscia” (1894) e interpretò l’ansia come il risultato di un conflitto psichico tra i desideri sessuali inconsci, inconsapevoli, correlati alla natura dell’uomo (Es) e la coscienza morale correlata ai valori sociali (Super Io). In questo modello l’ansia è interpretata come un segnale d’allarme in risposta al quale l’Io mobilita meccanismi di difesa per evitare che pensieri o sentimenti inaccettabili giungano alla consapevolezza. Se tali difese non vengono adeguatamente attivate, ne derivano una ansia più intensa e altri sintomi nevrotici.

Altra interpretazione dell’ansia patologica è data, sempre in chiave psicologica, dal modello cognitivo-comportamentale. In questo caso l’ansia sarebbe generata da una percezione errata dei pericoli dell’ambiente circostante: un’attenzione selettiva su dettagli ambientali negativi, unita alla distorsione della elaborazione delle informazioni, genererebbe reazioni d’allarme sproporzionate. Evidenze empiriche, tuttavia, collegano i disturbi d’ansia a fattori biologici e genetici.

Sebbene la patogenesi di questi disturbi non sia del tutto nota essa ha probabilmente un’origine multifattoriale.  Ad entrare in gioco nella patogenesi sono infatti complessi fattori interconnessi fra di loro:

  • fattori genetici: il 25% dei pazienti presenta familiarità per disturbi d’ansia;
  • fattori ambientali: eventi di vita traumatici in età infantile o eventi stressanti in età adulta;
  • fattori temperamentali: si distingue un’ansia di “stato” (condizione relativa ad una specifica fase della vita) da un’ansia di “tratto” (afferente ad una dimensione personologica del soggetto, quindi ad un modo di essere stabile e duraturo nel tempo).

Preso quindi atto della multifattorietà nell’insorgenza dell’ansia patologica, il trattamento dei disturbi d’ansia fa riferimento sia alla farmacoterapia che alla psicoterapia e ancora meglio,  alla combinazione di entrambe le strategie terapeutiche.

Aspetto importante è il riconoscimento precoce di queste condizioni patologiche al fine di ottenerne una valida risoluzione. I disturbi d’ansia infatti sono spesso sottovalutati e, non adeguatamente curati, rischiano di andare incontro a cronicizzazioni e a comorbidità con altre condizioni psichiatriche (es. depressione). La paura e lo stigma nei confronti della psicofarmacologia (spesso prima arma d’attacco contro le condizioni acute) conduce a diffidenza e a una costante sottovalutazione della sintomatologia ansiosa, portando i soggetti all’attenzione dello psichiatra quando arrivano ad uno stato di avanzata compromissione del funzionamento nelle diverse aree esistenziali quali il lavoro, le relazioni sociali e affettive.