Salute mentale e i suoi disturbi: la patologia della normalità

Il prof. Zoccali dell'Istituto di Neuroscienze, in questo nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla salute mentale illustra il significato del concetto di "normalità"

Premesso che l’approccio attuale alle diverse patologie, richiede da parte del medico un atteggiamento olistico, ovvero la presa in cura della persona nella sua totalità, la malattia determina una condizione anormale in un organismo vivente dovuta ad alterazioni organiche e/o funzionali che interessano uno o più organi. Il concetto è solo apparentemente semplice e la sua complessità è correlata al significato di “anormalità”.


La patologia della normalità

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Se ad esempio facessimo riferimento alla “norma statistica”, in una scolaresca di 20 ragazzi dove 15 che portano gli occhiali, statisticamente dovremmo definire normali  i 15 ragazzi miopi. In realtà l’anormalità, nel nostro caso, fa riferimento alla “norma funzionale”: un organo è anormale e quindi malato, quando è disfunzionale quindi non funziona per gli scopi che la natura gli ha attribuito. Quando il pancreas non funziona bene insorge infatti il diabete.

Quanto sopra implica quindi la conoscenza della modalità funzionale dell’organo e i parametri di ferimento della stessa funzionalità; quando tali parametri sono superati l’organo di riferimento non funziona e la disfunzionalità ha una sua dimensione da lieve a grave e tutto questo  condiziona la disabilità e la terapia.

Il problema si complica notevolmente se facciamo riferimento al Disturbo Mentale. Come già riportato in un articolo precedente, il Manuale dei Disturbi Mentali, riferimento nosografico per gli psichiatri e gli psicologi, definisce il disturbo come segue:

Ristobottega

“Il disturbo mentale è caratterizzato da un disagio o disabilità clinicamente significativa e dalla compromissione del funzionamento in uno o più ambiti tra cui quello lavorativo, scolastico, sociale, affettivo e famigliare”.

Il disagio e la disabilità sono correlati alla compromissione di tre aree:

  1. Area emotiva;
  2. Area cognitiva;
  3. Area comportamentale.

Quanto sopra obbliga ad una serie di riflessioni:

1) Confini “normativi”

Quali sono i parametri di riferimento di queste dimensioni per potere specificare la “disfunzione” come superamento degli stessi parametri?

La risposta è alquanto ardua per la complessità del funzionamento mentale e per la presenza di parametri molto “sfumati”. Quando l’ansia da fisiologica diventa patologica? Quando la tristezza diventa depressione? Quando il sospetto legittimo diventa paranoia? Quando un atto aggressivo diventa patologico?

2) Interdipendenza di emozioni, pensiero e comportamento

A fronte della difficoltà di definire i confini della normalità, altro fattore confusivo è l’interazione che si determina tra emozioni, pensiero e comportamento:  le emozioni sappiamo bene quanto condizionino i pensieri e viceversa quanto i pensieri diano origine ad emozioni;  emozioni e pensieri, sottendono a loro volta i comportamenti. In chiave psicopatologica un soggetto potrebbe avere un comportamento “apparentemente” funzionale e pensieri ed emozioni patologiche, lo stesso comportamento potrebbe apparire patologico ma  avere motivazioni ed emozioni che lo potrebbero legittimare come funzionale e quindi normale.


3) Dimensionalità della patologia

Alcune patologie presentano sintomi eclatanti che inducono il soggetto, o chi gli vive accanto, a chiedere aiuto; in altri numerosi casi le dimensioni sopra riportate (emotiva, cognitiva, comportamentale) per quanto disfunzionali, sono  sfumate, non percepite come patologiche e condizionare nella propria esistenzialità: scelte, rinunce e progetti sono indirizzati dal disturbo subclinico. Quante sono le persone che per intelligenza e performance potrebbero realizzare progetti di vita esaltanti e, condizionate da un panico subclinico, fanno scelte modeste di vita? Che hanno una timidezza attribuita al carattere e non sono consapevoli di essere invece condizionate dal disturbo? Che si ritirano in buon ordine di fronte ad una piccola avversità per il disagio innescato dal panico subclinico?

4)  Motivazione interpretazione e contesto

Di fondamentale importanza sono le motivazioni che guidano il comportamento di un soggetto,  le interpretazioni che vengono date allo stesso comportamento da parte dei soggetti che lo subiscono e il ruolo che svolge il contesto ambientale che costella quello specifico comportamento.


L’atto sessuale mimato ad esempio da Fedez e Rosa Chemical ha numerose interpretazioni:

  • ciascuno dei due autori, se l’atto non è stato in precedenza concordato, hanno avuto vissuti diversi;
  • lo stesso Rosa Chemical potrebbe aver avuto più di una motivazione correlata all’essere o all’apparire. Può essere stato un atto artistico/ dirompente/ contestatario, o anche “disfunzionale”, al limite della patologia, se determinato dall’incapacità di conformarsi alle norme sociali, attivato d’impulso, non curante delle esigenze dell’altro e di essere in diretta televisiva, in assenza di un minimo senso di rimorso per la prevaricazione fatta al partner.

5) Comportamenti auto terapeutici

Il comportamento può essere, in alcuni casi, un meccanismo di difesa per cui le motivazioni sono solo alibi correlate alla realtà esterna, ma di fatto, attivate da conflitti, sofferenze, paure che il soggetto riesce a gestire con un comportamento che potremmo definire auto terapeutico. Scelgo di fare lo psichiatra così mi garantisco di non essere malato di mente, scendo in piazza e, in nome della pace, scarico la mia aggressività distruggendo le vetrine, divento estremo difensore della legge e così facendo controllo la mia ombra di delinquente.