Big Data o Big Brother? Le beffarde conseguenze della business intelligence


di Manuela Gamba. La storia arriva dagli States. Bob è un cittadino americano che fa la spesa da Target, paragonabile ad una nostrana catena di supermercati. Bob è un padre, ha una figlia minorenne. Bob si sconcerta quando arrivano al suo domicilio coupon “seriali” di buono sconto sull’acquisto di pannolini e pappe per bebè a nome della figlia minorenne. Bob è indignato. Chiama la società per esprimere lo sdegno, il capo d’accusa è quello di motivare un minorenne a proliferare e no, non si fa! Dopo qualche settimana, come per “magia”, l’indignato Bob scopre la beffa e si tramuta – neanche troppo magicamente – nel sempliciotto Bob, perché? Perché scopre la reale gravidanza della figlia. Ma come facevano quelli di Target a sapere cose che il padre ignorava? Facile, è tutto merito del Big Data.Funziona così, Target monitora da sempre gli acquisti della clientela, il cervellone elabora la relazione tra l’acquisto/il periodo d’acquisto e il cambio di stile di vita dell’affezionato cliente – nella fattispecie, una gravidanza – quindi invia buoni d’acquisto per fidelizzare la futura mamma. Queste sono cose manderebbero in brodo di giuggiole anche il più nostalgico business man.Mettiamo il caso che Bob viva in una ridente – o meno ridente/o per niente ridente – città italiana, un pomeriggio è a caccia dell’affarone online. Il bontempone Bob sceglie di connettersi ad un sito che promette invidiabili sconti a portata di click, magari non sa che il Big Data di quella società online traccia tutto quanto. Quando si connette al sito del negozio virtuale, cosa sta cercando, i tempi di connessione, cosa acquista e – se lo fa – che feedback invia sull’acquisto che, dopo qualche giorno, ha già suonato alla sua porta. Chissà se Bob troverà tra le sue email un’ ulteriore possibilità di sconto che in quel momento – fatalità! – lo agevola all’acquisto di qualcosa di simile. Forse non è una macchina fotografica digitale, ma un’utile custodia per la stessa. Non una borsa griffata per il compleanno dell’amata consorte, ma un paio di irresistibili scarpe. Strano, ma proprio in questo momento il bontempone Bob si sta trasformando nel sempliciotto Bob, quello di un paio di righe più su, sì. Pura e premurosa coincidenza? Oppure è colpa del Big Data che sa cosa ci piace, sa quanto ci piace e, sa come ci piace. Insomma, ci “conosce”.Se in queste ore Obama impallidisce per colpa della dannata Gola Profonda che ha spifferato i “segretucci” del mestiere; se gli americani si indignano dicendo addio per sempre ai riservati Happy Days, in Italia il rischio di replica non è poi così oltreoceano. Certo, alcuni di noi avranno pure lacrimato sangue nel notare il grande assente del palinsesto Mediaset: il Grande Fratello –a proposito, tornerà, per chi se ne fosse accorto – ma ritrovarsi dentro un reality senza averne coscienza, non è precisamente spassoso. O forse, è solo veramente inquietante. Siamo vittime del Big Data? Al politecnico di Milano l’ardua sentenza, l’appuntamento è fissato per Novembre.Intanto, sappiamo che i dati sono conoscenza ma, citando Bacone, consideriamo che “la conoscenza è potere”. Ponderiamo.

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