Carabinieri 'infedeli' e cosche della Locride, il fascicolo arriva alla Dda

Gli inquirenti che si occupano dello scandalo dei carabinieri spacciatori di Piacenza, ipotizzano un diretto interessamento delle cosche calabresi

Un capannone industriale in cui opera una società – la Fr Idroelettrica Unipersonale –  «di cui – annotano i militari della guardia di finanza – è legale rappresentante Francesco Romeo, calabrese di Platì».

È questo il principale collegamento attraverso cui gli inquirenti che si occupano dello scandalo dei carabinieri spacciatori di Piacenza, ipotizzano un diretto interessamento delle cosche calabresi nella fornitura di stupefacenti che i militari dell’arma finiti in carcere avrebbero poi spacciato servendosi di una serie di piccoli spacciatori extracomunitari. Una storia intricata su cui adesso indagherà la distrettuale antimafia di Milano, a cui gli inquirenti piacentini hanno passato questo filone della maxi inchiesta.

Una storia intricata che, scrivono gli inquirenti, incrocerebbe Romeo e Daniele Giardino, l’uomo che secondo gli investigatori si sarebbe occupato di rifornire i carabinieri infedeli della droga da spacciare in città. E se sono gli stessi uomini della guardia di finanza a sottolineare come Romeo sia completamente incensurato, nel capannone di via dell’Astronomia numero 8, che risulta essere di competenza della ditta guidata dal calabrese, i giri di droga intercettati sono molti e riguardano carichi «da almeno 45 mila euro per volta».

Le intercettazioni

A metterci il carico da 11 poi sono le intercettazioni tra il carabiniere Giuseppe Montella e il presunto collettore di carichi di droga, Giardino, gravato da numerosi precedenti penali legati al mondo del narcotraffico.

«Io meno di 45 mila euro di droga alla volta non li prendo – dice intercettato dalle forze dell’ordine il presunto spacciatore alla sua interfaccia con la divisa da carabiniere – adesso devo pure stare a posto e più che altro i soldi che devo dare a questo, io gli devo un po’ di soldi perché, fratè la roba che abbiamo preso non l’abbiamo mica pagata».

Una preoccupazione reale quella di Giardino che, intercettato, dice ancora:

«Devo andare a ritirare il fumo e l’erba però devo avere i soldi che non ho. Se avevo i soldi pagavo tutto subito e adesso non avevo nessuno che mi stava addosso, non dovevo portare niente a nessuno. Però a questo non lo devo farlo arrabbiare perché sennò poi mi manda affanculo».

Nel capannone di Gaggiano – località semi sconosciuta in provincia di Milano – risulta residente Davide Fabio, già colpito da pregresse indagini relative allo spaccio di droga e dipendente della ditta Fr idroelettrica. A mettere sul chi vive gli investigatori sui presunti contatti tra le cosche calabresi e i carabinieri infedeli poi ci sono anche una serie di intercettazioni nelle quali lo stesso Romeo, una volta accortosi di uno strano giro di auto (che in effetti sono auto civetta delle forze dell’ordine) attorno al capannone della sua ditta, chiede spiegazioni temendo un’indagine della finanza.

«Ti volevo chiedere un’informazione – dice Romeo al telefono – riusciamo a capire che macchina hanno sti coglioni della finanza?».

A definire ancora il presunto canale “calabrese” per i rifornimenti agli appetiti insaziabili dei carabinieri infedeli, ci sarebbero anche le dichiarazioni intercettate dello stesso Montella che, parlando con il suo presunto sodale Megid Seniguer a seguito dell’arresto del padre di Daniele Giardino, Matteo (sorpreso dagli investigatori con un carico di hashish) si lamenta del fatto che «il papà di Dani è ai domiciliari e il problema è che Dani adesso lo hanno bloccato i calabresi».