Scarcerazione negata, muore dopo due mesi di sciopero della fame

Il ricorso in Cassazione per la concessione degli arresti domiciliari era stato fissato per il 15 settembre

Il ricorso in Cassazione contro il rigetto dell’istanza dei domiciliari era stato fissato per il prossimo 15 settembre ma il detenuto in attesa di giudizio non ha fatto in tempo a presentarsi davanti ai giudici del palazzaccio: Carmelo Caminiti è morto un paio di giorni fa all’ospedale Papardo di Messina dove era stato ricoverato, nelle settimane passate, nel reparto di terapia intensiva.

Una storia che sembra tirata fuori da un testo del teatro dell’assurdo e che invece affonda le radici dentro le inesplicabili contraddizioni del sistema giustizia. Caminiti ha un passato (remoto) burrascoso, con condanne passate in giudicato per reati di mafia, ma negli ultimi due decenni era rimasto fuori dai giochi pericolosi. Poi, nel 2017, un nuovo arresto disposto dalla Procura di Firenze che gli contesta una serie di estorsioni aggravate dal metodo mafioso, lo riporta in carcere.

Le condizioni fisiche dell’uomo però sono peggiorate dall’ultimo arresto (Caminiti ha una forma grave di diabete associato ad una serie di altre patologie croniche) e gli avvocati Italo Palmara e Giacomo Iaria ottengono dal tribunale gli arresti domiciliari per il loro assistito. A breve distanza dall’operazione della Procura di Firenze però altre due indagini – una della procura dello Stretto che lo accusa, nell’operazione Galassia, di essere partecipe alla cosca dei Tegano, l’altra dei magistrati di Brescia che ipotizzano il reato di promotore di un’associazione mafiosa dedita alle estorsioni – rimettono tutto in discussione riportando Caminiti dietro le sbarre.

Le sue condizioni di salute però sono ulteriormente peggiorate e gli avvocati, che allegano alla richiesta le cartelle cliniche che certificano i malanni del detenuto, presentano una nuova istanza per la concessione degli arresti ospedalieri o domiciliari anche alla luce dell’emergenza Covid che lo identifica come detenuto a rischio. Una richiesta accolta dal tribunale di Reggio e che trova invece il no disposto dal Gip del Tribunale di Brescia che, pur riscontrando un quadro clinico fortemente critico, motiva il rigetto della richiesta definendo il pericolo come reale ma, allo stesso tempo, come astratto. Una considerazione dai tratti vagamente surreali e che viene confermata anche dal tribunale della Libertà di Brescia che, da parte sua, ci mette il carico da 11 chiedendosi un po’ beffardamente, come Caminiti avesse potuto girare l’Italia per commettere tutti i reati che gli venivano contestati, viste le asserite precarie condizioni di salute.

«Sono i giorni delle furiose polemiche legate alle scarcerazioni dei presunti boss durante la fase acuta della pandemia – racconta il legale – Caminiti, suo malgrado, ci è rimasto invischiato in mezzo».

Le condizioni di salute di Caminiti intanto continuano a peggiorare, racconta ancora l’avvocato Palmara, ma il detenuto si sente colpito ingiustamente dalla decisione dei giudici lombardi e inizia, nella sua cella del carcere di Gazzi a Messina, una sua personale protesta iniziando uno sciopero della fame.

Siamo intorno alla fine di maggio e la protesta estrema messa in campo da Caminiti, ci mette poco meno di due mesi a fare ulteriormente precipitare il quadro clinico. Il detenuto viene prima trasferito nell’infermeria del carcere e, a distanza di qualche settimana, trasferito d’urgenza nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Papardo da dove uscirà solo da morto.

«Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che per molti magistrati giudicanti e inquirenti ancora oggi – racconta l’avvocato Palmara – contrariamente a quello che prevede la Costituzione la pena ha funzione punitiva e non rieducativa».