Coronavirus - Gregorio, reggino oltremanica: 'Situazione drastica, vietato comprare più di 2 pacchi di pasta a persona...'

La testimonianza di Gregorio, giovane lavoratore a Londra tra rischi, routine, smart working e malinconia di casa...

L’emergenza coronavirus ormai non ha più confini.

Il virus viaggia ad una velocità incontrollabile. E nonostante ciò, oltremanica sembra non si abbia la percezione della drammaticità della situazione.

Per carità, ogni paese decide di affrontare l’emergenza come meglio crede, ma la crisi è globale e da più parti si continua a chiedere una visione unitaria nella gestione dell’emergenza.

Anche a Londra, la colonia di calabresi, e più in particolare reggini, è numerosa. Gregorio Giuffrè ci vive ormai da sei anni. Da circa due ricerca persone con competenze in ambito informatico sul territorio italiano.

E da italiano che segue costantemente l’evolversi delle vicende nel BelPaese, ha intuito che nella futuristica UK “si viaggia con almeno due settimane di ritardo”.

La sua routine è stata stravolta. Andare al lavoro in metro è diventato un rischio troppo grosso. Anche perché le misure di prevenzione adottate a LondraGregorio abita in uno stabile di dodici piani – sono ancora sotto forma di consigli e non di divieti.

La sua sede di lavoro si trova ad una decina di minuti da London Bridge. Per arrivarci Gregorio prendeva la metro fino alla stazione “Bank”. Due cambi e tante persone che ti vengono incontro. Ci mette in tutto una quarantina di minuti.

Ma adesso è diventato molto rischioso mescolarsi alla gente, che spesse volte non porta neanche la mascherina.

“Qui a Londra abbiamo cominciato a lavorare da casa da ieri – ci spiega Gregorio –  Anche se alcune aziende lo fanno già da una settimana. Ma in realtà ancora ci stiamo attrezzando per lo smart working”.

Gregorio confida di aver modificato la sua routine di lavoro. E che da quando l’emergenza Covid-19 ha preso piede nel vecchio continente ha cominciato a prendere il taxi per recarsi al centro di Londra. Che ora, evidentemente, frequenta con meno assiduità.

Insomma a dispetto di un paese che si affida al “lasseiz faire” sanitario, Gregorio ha preso le sue precauzioni. Che spesso fanno rima con privazioni. Come il rapporto con la sorella Barbara, anche lei a Londra con la propria famiglia:

“C’è tanta strada da fare per incontrarci – afferma – e per questo preferiamo rimanere chiusi in casa. E purtroppo ci aspettiamo che sarà così ancora per molto tempo”.

La quotidianità, insomma, non è più la stessa, né dal punto di vista lavorativo, né da quello della vita privata:

“Si registra un evidente calo nel settore di cui mi occupo. Ed è la prima volta che accade. C’è una minore richiesta di persone qualificate perché molte aziende si sono fermate, e lo faranno fino al 3 di aprile. Qui va tutto molto a rilento rispetto alle azioni da intraprendere per difendersi dal virus. Fino a due giorni fa ci hanno detto che lo avremmo preso tutti, ma già oggi la situazione è cambiata. Usciamo di casa per comprare cibo, ma non possiamo prendere più di due pacchi di pasta a persona o una dozzina d’uova. E pensare che finirà il cibo, per noi, non è il massimo. Adesso le immagini dei supermercati presi d’assalto in Italia, si vedono anche qui. Non si trovano igienizzanti per le mani né mascherine, e quelle in vendita on line hanno raggiunto prezzi pazzeschi. In più ci sono evidenti tagli al personale soprattutto nei ristoranti. C’è discrepanza tra quello che sente la gente e quello che dice il governo. I numeri qui sono bassi perché fanno pochi test, e se sei asintomatico non ti viene proprio fatto”.

Gregorio però non sembra uno che si dà per vinto. Certo, non nasconde di sentire la nostalgia di casa, di voler stare accanto ai propri genitori e all’altra sorella che vivono a Reggio Calabria, ma fa anche autocritica:

“All’inizio della crisi, anch’io l’ho presa sottomano. Non pensavo che la situazione fosse così drastica. Ma ora le cose sono un po’ cambiate. Lavoro con persone italiane nel mio team, e l’umore non è dei migliori, soprattutto se si pensa ai familiari che sono a casa”.

Insomma adesso è il tempo del vorrei ma… non è giusto.

“Se potessi tornerei subito in Italia – dice amaramente – Non ho mai passato la Pasqua fuori di casa, e da 6 anni torno dai miei familiari. Ma poi penso che non è giusto per loro, per la loro salute e anche per la mia. Certo, se ci fossimo attrezzati prima, in tanti saremmo potuti rientrare. Ma ormai non c’è più tempo ed è anche sconveniente. Per l’Italia i voli sono già bloccati fino al 3 aprile, e quelli che ci sono costano qualcosa come 500 euro, impensabile”.

Il suo consiglio, oggi, a quelli che come lui sono fuori città per lavoro, è di stare chiusi a casa e di non tornare “evitando di peggiorare una situazione già difficile”.

Gregorio e il gruppetto di italiani con cui si frequenta, stanno quindi pensando di organizzare una Pasqua tra amici, in casa, “ma non è la stessa cosa”.

Quindi, per ora, meglio consolarsi con le immagini di un Paese affacciato al balcone che – dice – “dimostra la forza dell’Italia, che non si vede in altri luoghi.