Corte di Appello di Reggio, processo Mauser: assoluzione per Di Marte e Calabrese

I due imputati erano stati condannati alla pena di anni 7 di reclusione per aver movimentato una consistente partita di cocaina

La Corte di Appello di Reggio Calabria, 1^ sezione penale, Pres. Dott.ssa Monaco, a conclusione dello stralcio del procedimento penale denominato “MAUSER”, in accoglimento dei motivi di Appello dell’avv. Mario Santambrogio, ha assolto Di Marte Vincenzo e Calabrese Salvatore, da Rosarno, con la formula “perché il fatto non sussiste”.

I due imputati erano stati condannati dal Giudice dell’Udienza preliminare di Palmi alla pena di anni 7 di reclusione per aver movimentato una consistente partita di cocaina. L’attività investigativa era stata condotta dal nucleo carabinieri di R.C. che avevano installato una video camera all’interno di dell’azienda agricola “La Rosarnese”, ubicata in C/da Limastro di Rosarno e gestita dalla famiglia di Domenico Cacciola (soggetto scomparso nel mese di agosto 2013), che la P.G., riteneva essere una delle basi logistiche utilizzate dai Cacciola per il traffico di sostanze stupefacenti.

L’attività investigativa aveva consentito di verificare che i due imputati, dopo aver aperto con un telecomando il cancello d’ingresso, entravano a bordo dei rispettivi mezzi all’interno dell’azienda, recuperavano una busta di plastica trasparente occultata tra due camion parcheggiati nel pizzale per poi chiudersi all’interno di un casolare dal quale uscivano dopo circa 20 minuti con numerose bustine trasparenti contenenti sostanza di colore bianco.

A conclusione del giudizio di primo grado, il Gup di Palmi, ritenendo che le condotte monitorate fossero tipicamente riconducibili ad un’attività di suddivisione in dosi di una maggiore quantità di stupefacente da immettere sul mercato al dettaglio, li ha condannati, previa riduzione di un terzo della pena per la scelta del rito abbreviato, alla pena di anni 7 di reclusione. Avverso la sentenza di condanna, l’avv. Santambrogio proponeva Appello lamentando l’inidoneità dai dati raccolti dagli inquirenti a dare conto, oltre il ragionevole dubbio, che gli imputati avessero maneggiato sostanza stupefacente, considerato che i fotogrammi estrapolati dalla video-ripresa, per la loro scarsa qualità, non permettevano di verificare la natura della merce contenuta all’interno della busta di plastica di colore trasparente.

La Corte di Appello, in accoglimento della tesi difensiva e con il parere contrario del procuratore generale che aveva chiesto la conferma della sentenza di condanna, ha assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”.