"Giù al Sud": perchè i terroni salveranno l'Italia

"C’è una generazione di meridionali che non vuole più andarsene, che pensa di poter fare molto con poco e che quel poco a Sud valga più del molto altrove"

“Mi dice: «come può essere buono il Sud, se persino i meridionali, appena possono, se ne vanno?» […] gli rispondo: «come può essere buono il Nord, se persino il sole, dovendo andare ogni giorno da Est a Ovest, gli gira alla larga?»”.

Comincia così il secondo libro di Pino AprileGiù al Sud“, nonché seguito di “Terroni“. Affermazioni forti, che però non stupiscono il lettore che ha imparato a conoscere la carismatica scrittura di Aprile, che vuole si risvegliare l’animo sopito di quei tanti terroni che si sentono tagliati fuori dall’Italia e allo stesso tempo, incoraggiare l’animo nobile di tutti coloro che proprio non riescono a stare con le mani in mano e si giocano il tutto per tutto per risollevare la propria terra.

“Giù al Sud” di Pino Aprile

Il secondo libro di Pino Aprile è dedicato quindi, ancora al Mezzogiorno; questa volta peró si tratta di una lettura da assaporare lentamente, in quanto ogni capitolo affronterà un tema, un sentimento diverso dal precedente.

Le analisi per giudicare il Sud sono svelte, perché il giudizio le precede. E quel giudizio è per sempre“.

Come sempre Aprile non ci permette neanche per un secondo di dimenticare la complicata situazione in cui il Sud si trova rispetto al resto d’Italia; molti hanno attribuito questo suo modo di scrivere al voler fare polemica, ma da un’analisi più approfondita si può intravedere un uomo che tenta con le unghie e con i denti di risollevare una situazione che da tanti è stata definita “catastrofica“, dando speranza a chi in questo sogno ancora ci crede.

“Cosa succede dove sembra che non stia succedendo nulla? Nelle regioni più dimenticate, come in Calabria (e non solo), che sembrano esistere soltanto per la ’ndrangheta e la Salerno-Reggio? Forse è lì […], che si prepara il futuro. Non so dire come sarà, e nemmeno se ce la farà a essere, ma qualcosa sta accadendo“.

Le parole di Aprile sono travolgenti, accattivanti, chi si accosta alla lettura di questo volume rimarrà sicuramente intrappolato in questo vortice di emozioni scatenato da parole cosi forti. Perché è confortante sapere che c’è ancora qualcuno che crede in noi, e ancora più sorprendenti saranno le conclusioni dell’autore nei capitoli successivi.

C’è una generazione di meridionali che non vuole più andarsene e, conoscendo il mondo, vuol saperne di più del suo Sud e viverci; e, per viverci bene, migliorarlo, migliorando la propria condizione; e
pensa di poter fare molto con poco e che quel poco a Sud valga più del molto altrove”.

E così Aprile ci racconta nel dettaglio uno spaccato di vita che lo rende testimone dei tantissimi giovani che al Sud possono fare la differenza; di giovani menti fuori dal comune che non hanno bisogno di emigrare in cerca della popolarità, ma che restano nella propria terra per cercare di rimettere in sesto l’attività di famiglia; giovani che hanno deciso che restare e combattere per ciò in cui si crede è sicuramente meglio di una strada in discesa. Aprile ci racconta la storia di Antonio Cuccio Fiore, che dopo aver viaggiato tra Londra e Valencia torna nel suo paese (Gravinia di Puglia) dove si inventa un mestiere e riscopre un prodotto da tempo dimenticato: “il pallone” il padre di tutti i provoloni e i caciocavalli del mondo; la storia di Giuseppe Olivieri, uno dei migliori diplomati dell’Istituto Ferrari di Lauria, sul Pollino; la storia di Noemi Murata, laureata a Messina, operatrice in beni culturali, con specializzazione in storia dell’arte a Firenze e così come loro anche tanti altri giovani che Aprile paragona alla Beat Generation degli anni ’60. I giovani del Sud sono quindi per Aprile non solo una risposta alla crisi che ormai ci affligge, ma anche un movimento rivoluzionario.

Cosa scelgo io tra il dover andare via e il voler restare? Non ho alcun dubbio. Io resto qui al Sud, e non perché sono un perdente o un rassegnato, ma perché restare è molto più difficile che andarsene. Io resterò qui”.

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