Giusy Versace racconta ai giovani reggini la sua “impresa di speranza
23 Dicembre 2013 - 11:10 | di Redazione

“Work in … work out: l’impresa della speranza”: è nel contesto di questo percorso formativo,proposto dall’Associazione Attendiamoci O.n.l.u.s. per i giovani over 18, che si inserisce la testimonianza di vita che Giusy Versace, atleta paraolimpica reggina, ha dato incontrando tanti ragazzi della nostra città venerdì 20 dicembre nei locali parrocchiali della Chiesa “S. Maria della Cattolica dei Greci”. Una donna che è riuscita a trasformare una tragedia in atto di speranza, riprendendo in mano una vita che le stava sfuggendo drammaticamente via.22 agosto 2005: Giusy ha 28 anni, è una giovane donna in carriera, ha raggiunto obiettivi importanti nella propria vita; ha iniziato a lavorare a Milano nell’ambiente della moda (in aziende concorrenti, non in quella di famiglia), per raggiungere da sola gli obiettivi che si è posta. Quel 22 agosto Giusy era a Reggio, per trascorrere, come ogni estate, le vacanze nella sua terra. Per un forte senso di responsabilità che l’ha sempre animata, aveva deciso di rinunciare all’ultima settimana di ferie e riprendere a lavorare per raggiungere, in macchina, a Salerno, un cliente che aveva bisogno di lei. Quel cliente non l’ha mai raggiunto perché, all’altezza di Cosenza, dopo una galleria, per via di un acquazzone improvviso, ha perso il controllo della macchina. Nell’urto dovuto all’incidente, il guardrail le ha tranciato entrambe le gambe, “come un coltello taglia il burro”. È stato in quell’occasione che Giusy ha capito quanto forte fosse la sua voglia di vivere. Dilaniata dal dolore, si è lanciata sull’asfalto, grattando il suolo con le unghie e pregando, pregando intensamente, nonostante la sofferenza le impedisse di ricordare le parole delle preghiere. Risvegliandosi in un letto di ospedale, sentiva un forte senso di gratitudine per essere sopravvissuta. Fin da subito, ha iniziato a soffrire della c.d. “sindrome dell’arto fantasma”; oggi cammina su delle “gambe finte” ma il percorso per arrivare a questo è stato lungo e faticoso, ha dovuto fare i conti con molte situazioni di gestione della vita quotidiana, anche solo con un armadio che le ricordava cosa non potesse più indossare. Uscita dall’ospedale, era “ovattata” da tanto amore, benché alcuni amici si fossero allontanati per paura di sentirsi “inadeguati” e incapaci di aiutarla in quell’abisso di dolore. Mariconosce che ciò che ha fatto sì che lei non diventasse una “disabile rancorosa” è stato il dono della fede. Un anno dopo l’incidente, insieme all’UNITALSI, accompagnata da una zia, ha mantenuto la promessa di andare a Lourdes, se fosse tornata a camminare: lì ha trovato le risposte che cercava. Con commozione, Giusy ha ricordato il momento in cui, davanti alla grotta della Madonna di Lourdes, in lacrime chiese “Perché a me?”. Ma poi, di fianco a lei, spinto da alcuni volontari, incrociò lo sguardo pieno d’amore di un ragazzo allettato, che, in seguito ad un incidente in motorino all’età di 18anni, era rimasto paralizzato dal collo in giù. La pienezza di quello sguardo ha costituito una “svolta”: davanti a quella grotta, era come se una voce le avesse sussurrato “Gira la domanda. Perché non a te? Cos’hai più degli altri?”. Sono passati sette anni dall’incidente, ormai Giusy è una volontaria di UNITALSI perché ha sentito il desiderio di rendersi utile per chi ha delle disabilità. Si è detta fortunata di aver avuto al fianco una famiglia e degli amici che le sono stati accanto, senza mai vergognarsi di quanto le stava accadendo: se tutti si fossero chiusi –come alcuni hanno fatto- nella paura di non sapere come aiutarla o cosa fare per lei, sarebbe rimasta sola. Non aveva mai “toccato” la disabilità, neanche in maniera indiretta per cui, quando è stata ricoverata in un centro vicino Bologna, ha avuto un forte impatto con questo mondo e non ha taciuto la difficoltàprovata nel guardare la sua nuova “immagine” allo specchio la prima volta. “Io non posso che ringraziare perché volevo vivere e sono tornata a vivere”: ha ripetuto spesso questa frase nel corso della sua testimonianza. Ha intitolato il suo libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque”, titolo per cui ha lottato con la casa editrice che lo riteneva troppo lungo. Ma il messaggio di Giusy è concentrato in questo titolo: se vuoi, vai dappertutto. Le gambe ti “accompagnano”, la testa e il cuore ti “portano” ovunque. Giusy ha avuto il coraggio di guardare lontano, a ciò che si può, ancora, fare. Anche grazie allo sport, è riuscita a dare il giusto peso alle cose. Anche in questo ambito ha dovuto lottare, i disabili venivano scoraggiati dalla pratica sportiva che Giusy, invece, ritiene terapeutica. È stata la prima donna in Italia a correre senza entrambi gli arti inferiori e ha cercato di descrivere la gioia ineffabile provata nel giorno in cui è tornata a correre, su delle “lingue di carbonio”, “lame” che sembrano muoversi sole, non lasciando trapelare forse l’energia che inrealtà richiedono. Ha deciso di correre per la Federazione calabrese, per dare un segnale all’ignoranza, dettata a volte dalla paura, che purtroppo c’è nel nostro territorio. “La mia medaglia l’ho avuta il giorno in cui mi sono rialzata dalla sedia a rotelle e adesso corro per dare un messaggio di speranza”: anche per questo Giusy ha deciso di fondare una associazione Onlus (“Disabili nolimits”) per garantire il diritto di praticare sport; ha istituito la “Happy Run”, una corsa organizzata per regalare sussidi ai disabili, per donare loro opportunità e sorrisi, idea nata dalla conoscenza, prima solo “virtuale”, con Francesco Comandè, ragazzo di Taurianova che a 11 anni aveva perso la gamba in un incidente nei campi e che, solo grazie allo sport, è tornato a “vivere” e ad essere una persona felice. Le parole di Giusy Versace hanno innescato il desiderio di far sì che questa testimonianza non rimanga solo una storia di vita ma diventi una “missione” affidata a quanti hanno ricevuto in dono questa autentica esperienza di dolore e rinascita: è necessario collaborare affinchésia possibile una rivoluzione ed una trasformazione, in ogni ambito, del male in bene, perché anche la situazione più difficile e dolorosa possa aprirsi ad un orizzonte di speranza.Per concludere, Giusy ha citato la parte finale del suo libro che, più di ogni altra cosa, cristallizza il suo messaggio e il senso che ha dato a tutto ciò che è successo: “Se non avessi rischiato di morire, se non avessi perso le gambe forse ci avrei messo un’intera vita ad imparare tutte queste cose […] Se avessi una bacchetta magica e un solo desiderio da esprimere, una cosa è certa: non tornerei mai indietro”. (Maria Rosaria Araniti)