Operazione Millenium – “Il patto con il diavolo lo facciamo noi”: così i clan garantivano voti ai politici
Operazione Millennium, le parole del procuratore Ignazitto: “Mafie e politica, accordi elettorali consapevoli. Un fenomeno allarmante e pervasivo”
21 Maggio 2025 - 11:32 | Redazione

L’operazione “Millennium”, che ha portato all’arresto di 97 persone in tutta Italia e colpito duramente le cosche Alvaro e Barbari Castani, non svela soltanto i meccanismi del narcotraffico e dell’estorsione legati alla ‘ndrangheta. A destare allarme è anche lo spaccato emerso durante la conferenza stampa tenutosi presso la Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria, in cui il procuratore aggiunto Walter Ignazitto ha acceso i riflettori su un altro fronte critico: quello delle infiltrazioni mafiose nel sistema politico-elettorale.
Secondo Il Fatto Quotidiano, tra i destinatari delle misure cautelari figura Pasquale Tripodi, ex assessore regionale, per il quale il gip Stefania Rachele ha disposto i domiciliari, escludendo però l’aggravante mafiosa. Il provvedimento, firmato su richiesta del procuratore Giuseppe Lombardo, si inserisce in un’indagine che ruota attorno a reati gravi come associazione mafiosa, traffico internazionale di droga, estorsione, sequestro di persona e scambio elettorale politico-mafioso.
Accanto a Tripodi, risultano indagati a piede libero anche due altri nomi noti della politica calabrese: Sebastiano “Seby” Romeo, già capogruppo del Pd in Consiglio regionale, e Alessandro Nicolò, ex consigliere passato da Forza Italia a Fratelli d’Italia, già arrestato anni fa nell’inchiesta “Libro Nero”, processo tuttora in corso.
Voti in vendita al migliore offerente: la strategia elettorale della mafia
Secondo quanto illustrato da Ignazitto, l’inchiesta ha documentato un “rastrellamento sistematico di voti sul territorio” da parte delle famiglie mafiose in occasione delle elezioni regionali. Un’attività svolta con metodo e freddezza, del tutto svincolata da ideologie o appartenenze politiche. “È emersa la figura di soggetti – ha spiegato Ignazitto – che, a prescindere da valore ideologico o appartenenza, si sono posti al servizio del migliore offerente per raccogliere voti presso le famiglie mafiose”.
Una consapevolezza radicata: in alcune intercettazioni, riferendosi a gruppi criminali, si utilizzavano direttamente le denominazioni giudiziarie per identificarli. “Al posto dei Labate si diceva ‘andiamo dai Ti Mangiu’. C’era piena consapevolezza di chi fossero queste famiglie e del ruolo che ricoprivano nel territorio”, ha aggiunto.
Il magistrato ha poi sottolineato un aspetto ancor più inquietante: “I politici non partecipavano direttamente, ma lasciavano che il lavoro sporco venisse fatto dai clan. Dicevano le cosche nelle intercettazioni: ‘Il patto con il diavolo lo facciamo noi’”. Un rischio calcolato, gestito in modo da mantenere le mani degli esponenti politici apparentemente pulite.
Accordi “elettorali” venivano siglati con clan appartenenti anche a mandamenti diversi, mostrando la portata trasversale del fenomeno. In alcuni casi – ha riferito Ignazitto – le operazioni di raccolta voti non sono andate a buon fine, segno che il meccanismo non è sempre infallibile. “Questo ci consola – ha detto – forse anche grazie al nostro lavoro di questi anni”.
Ignazitto non ha nascosto la gravità di quanto emerso: “È uno spaccato allarmante che evidenzia la pervasività di queste famiglie a 360 gradi”.