Reggio, la commovente lettera di una ragazza malata

La struggente testimonianza di una giovane donna: 'Un giorno vorrei non dire ai miei figli che Reggio Calabria è una città dove non si può vivere, e forse si può solo morire...'

Riceviamo e pubblichiamo la commovente lettera di una ragazza costretta a curarsi in Lombardia. Ecco il racconto della giovane reggina:

Sono una ragazza di 23 anni, che negli ultimi quattro ha lottato insieme alla famiglia per vincere battaglie che superano la realtà immaginabile per un qualsiasi mio coetaneo.

Avere problemi di salute a Reggio Calabria è un lusso, perché senza il sudore di chi mi ama che ha permesso di essere curata in Lombardia, forse non potrei scrivere questa lettera.

Amo la mia terra, ho scelto di studiare qui e non ho mai mollato nonostante i miei viaggi di salute, ma non so se posso costruire il mio futuro in una città che non ti aiuta a combattere per averlo e questo, mi strugge il cuore.

Queste parole vogliono essere un appello, che forse sarà solo una goccia nel mare, ma devo farlo per la mia Terra che merita dignità e lo devo a me stessa che spera sempre nel cambiamento.

Voglio chiedere ai politici, alle autorità che più in alto si trovano nella gerarchia ospedaliera, di combattere per dare un senso al servizio sanitario; spingete i vostri medici e operatori a trovare l’umanità per svolgere una missione così nobile come quella che si rapporta con il dolore umano.

In questi anni in cui sono stata male, il dolore maggiore mi è stato dato dall’essere lontano da casa, perché spostarmi dalla mia città per guarire non ha portato solo la perdita di patrimonio economico, ma non mi ha permesso di avere quell’amore che solo chi ti vuole bene sa darti da vicino per spingerti a lottare. E questo non è stato possibile perché per potermi salvare, ho viaggiato da Reggio a Milano per 3 anni continuamente, andando in ospedali che vivono di amore per la propria missione e per il prossimo, in cui il dolore che provi è confortato da una nuova famiglia che si crea tra i reparti.

Purtroppo per l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, oggi ho dovuto prenotare i miei accertamenti di routine a Reggio Calabria, dove dopo tante peripezie e sacrifici, non solo non ho ottenuto risultati, ma ho sofferto perchè nessuno aveva messo “la buona parola” che fa andare avanti le cose in quell’ospedale: mi sono sentita dire che il numero di cicli chemioterapici che ho fatto nell’ultimo anno era indifferente “perché una chemio in più o in meno non cambia”, raggiungendo livelli di umiliazione, calpestando il mio dolore e la mia dignità di paziente; per un momento mi chiedo se abbiano un briciolo di idea riguardo a cosa si provi ad essere dilaniati dalla chemioterapia.

Ho trovato medici, che credono di essere professionisti, ma che invece di leggere termini medici e diagnosi precedenti per conoscere la mia storia clinica, considerandoli troppo noiosi, preferiscono che racconti il paziente per fare una sintesi e pretendendo lo spelling di termini tecnici che avrebbero dovuto sapere.

Allora, tra la rabbia che provo, mi chiedo, dove sta la professionalità ? E l’amore per la missione del medico? Il rispetto per il dolore? La delicatezza davanti alla sofferenza umana? Perché se si può avere a Milano, qui in quello che considero il mio posto nel mondo, non può esserci?

Il mio appello, che arriva adesso dopo anni di sofferenza perché sono stremata da una terra infame che abbandona i suoi figli, vuole pregare chi di competenza politica a vigilare, per mettere ordine, per dare rispetto a chi nella vita soffre.

Noi malati cerchiamo rispetto per il nostro dolore e quando ci rechiamo in ospedale non abbiamo bisogno di urlare per ottenere i nostri diritti, noi abbiamo bisogno di gente che sappia accompagnarci nelle nostre battaglie e non spingerci verso l’oblio. Voglio scrivere queste parole, perché da giovane ragazza che lotta per vivere in un mondo migliore, con grandi ideali quali la lealtà, il rispetto, il bene e l’amore per le proprie origini, voglio invitare tutti quanti a cambiare il modus operandi dentro l’azienda ospedaliera, e spero che possano farlo in fretta, perché un giorno vorrei non dover dire ai miei figli che Reggio Calabria è una città dove non si può vivere, e forse si può solo morire.

Fiduciosa che queste parole non siano vane, che il mio urlo di aiuto non sia rivolto nel vuoto, ma che, anzi, grazie alla vostra pubblicazione sulle piattaforme web della testata giornalistica possa avere eco nel territorio della città; perché dobbiamo gioire di un’efficienza ospedaliera non occasionale ma quotidiana, dobbiamo pretendere come popolo unito di questa Terra, un servizio costante ed efficace, perché la dignità umana non deve conoscere confini e soprattutto ricchezze.

Grazie per l’ascolto di un cuore che lotta, ma da oggi, un pò disperato.