Gianluca, Cecè, Massimiliano, Rocco: troppe vite spezzate dalla 'Ndrangheta

Storie di vite interrotte dalla violenza mafiosa ma che continuano attraverso il ricordo e l’opera di chi è rimasto

Gianluca, Cecè, Massimiliano, Rocco, Lollò, Vincenzo: nomi normali di persone normali, ognuno con i propri sogni, le proprie paure. Un fotografo, un carpentiere, un mugnaio. E ancora due giovani  imprenditori, un meccanico. C’è la Locride di tutti i giorni sotto il sangue delle vittime della ‘ndrangheta, quella Locride «benedetta dagli dei e maledetta dagli uomini» teatro negli anni di uno stillicidio continuo di vite spezzate dal crimine organizzato.

Quasi ogni comune di questo spicchio di Calabria ha pagato il suo tributo. Massimiliano Carbone viveva a Locri, guidava una cooperativa, tifava per l’Inter. La sua unica colpa, quella di essersi innamorato della donna sbagliata, di essere diventato padre. Lo hanno ammazzato a colpi di lupara, di sera, dopo una partita di calcetto, nascosti dietro un muro.

A Gianluca Congiusta hanno sparato in faccia in una strada buia. Aveva 32 anni e un carattere solare. Era amico di tutti, epicentro di decine di iniziative: è rimasto stritolato nella faida tra le cosche di Siderno, vittima innocente di una guerra costata decine di lutti. Vincenzo Scuteri lo hanno ammazzato a Caulonia, sulla statale che taglia in due la Marina. Non voleva servirsi da un fornitore amico degli amici.

Anche Rocco Gatto aveva detto no. Volevano che chiudesse il suo mulino come segno di rispetto per il funerale del boss. Gli sgherri degli Ursino avevano preteso la chiusura della sua attività come era successo a quelle dell’intera Gioiosa. Denunciò ai carabinieri, sapeva di essere in pericolo. Gli hanno sparato in una stradina di campagna, prima che riuscisse a fare niente per difendersi.

Poi Lollò Cartisano, inghiottito a Bovalino durante la tremenda stagione dei sequestri di persona. Era un artista, un maestro artigiano della fotografia. I suoi resti sono stati ritrovati a distanza di anni dalla scomparsa all’ombra di pietra Cappa.

E Cecè Grasso, che in una Locri dilaniata da una guerra di mafia violentissima, si oppose alle estorsioni resistendo a minacce e intimidazioni. Gli spararono davanti alla sua officina, in pieno giorno, in una delle vie del centro di Locri.

Sono solo alcune delle vittime della ‘ndrangheta. Storie di vite interrotte dalla violenza mafiosa ma che continuano attraverso il ricordo e l’opera di chi è rimasto: Debora, Liliana, Stefania, Mario finché ha potuto. Loro non si sono mai fermati, sempre in mezzo ai più giovani a raccontare il vero aspetto della ‘ndrangheta. Aspettano ancora giustizia per i loro cari.