Chi non è di Reggio non lo sA...

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[Ricordo (ri·còr·do): Impronta di una singola vicenda o esperienza o di un complesso di vicende ed esperienze del passato, conservata nella coscienza e rievocata alla mente dalla memoria, con più o meno intensa partecipazione affettiva]

di Matteo Occhiuto – “Cogito ergo sum”. Lo diceva René Descartes, ovvero Renato Cartesio. Certificando la natura umana, e biunivoca, del pensiero. Siamo animali pensanti e, viene da aggiungere, non potremmo non esserlo. E, a volte, specialmente nei momenti più bui, accade che i pensieri volgano verso porti sicuri, ovvero su avvenimenti che ricordiamo perché portatori di gioia ed emozioni positive. Un esercizio, talvolta perfino stucchevole, di cui tuttavia nessun individuo riesce a fare a meno. E, a Reggio Calabria, il 13 giugno è il giorno per eccellenza in cui tutti i possessori d’un cuore, almeno in parte, amaranto si abbandonano, anche solo per un secondo, alla mentale contemplazione del pAssato.

Reggio Calabria - Piazza del Popolo

Un passato che, da un lato, fa forse male – visto l’attuale momento storico – riportare alla memoria, ma di cui, in fondo, abbiamo un maledetto, assiduo, bisogno. Ci serve per ricordare che, in fondo, anche nella punta dello Stivale, siamo in grado di fare grandi cose. Diciannove anni fa, oggi, Reggio Calabria scriveva la storiA. O meglio, la Reggina, gemma d’una terra fin troppo inabile ad esprimere le proprie potenzialità, prendeva per mano Reggio Calabria ed i reggini, elevandoli in Paradiso. Che, razionalmente, definire calcistico sarebbe riduttivo.

Nella definizione di ‘ricordo’ posta nel prologo di quest’articolo, si fa riferimento alla rievocazione di un determinato fatto, con più o meno intensa partecipazione emotiva. Non è, forse, propriamente corretto definire partecipazione emotiva quello che accadde quel 13 giugno 1999. Fu più, volendo descriverlo con maggior precisione, una realizzazione simbiotica di un’impresa che non si potrà cancellare mai. torino reggina 13 giugnoQuel giorno gli eroi, armati semplicemente di una maglia bianca con banda Amaranto, calzoncini, e scarpe chiodate, che scesero in campo poterono vantare una spinta emozionale che, non ce ne voglia nessuno, nel calcio d’oggi non esiste più. E, probabilmente, non esisterà mai più.

Quel giorno, la fame del popolo, di cui quegli stessi calciatori erano diventati parte integrante, fece la differenza. Era tanta la paura, era enorme il timore di rivivere un incubo materializzatosi appena dieci anni prima. Un rigore, allora, cancellò una cavalcata pazzesca. Stavolta, invece, c’era addirittura da giocare un’intera partita. La Reggina, però, e soprattutto quella Reggina, non potevano sbagliare. C’era da regalare l’Apoteosi a decine di migliaia di persone. C’era da spingere in porto una nave che aveva atteso davvero troppi anni. Ottantacinque. C’era da scrivere una pagina che oggi, ne siamo sicuri, molti, aprendo il proprio cassetto dei ricordi, tengono lì, in prima fila. C’era da portare la Reggina in Serie A.

E, meravigliosamente, fu fatto.

Niente e nessuno potè fermare quella che definire un’Armata non rappresenta assolutamente esagerazione. Cozza, Martino, Possanzini, Artico, Poli e tutti coloro che contribuirono, con qualsiasi minimo gesto, tecnico e non, seppero realizzare un traguardo che, a Reggio Calabria, pareva pura e melliflua utopia. E poco importa, allora, dei tanti problemi che attraversava la cittá. Quelli ci sono sempre stati, ci sono tutt’oggi e sempre ci saranno. reggina serie a

Quel giorno, il vessillo amaranto rese uniti tutti. Dal più giovane al più anziano, dai più abbienti ai più umili, sportivi e non, da ogni punto della provincia. E non solo, perché sappiamo bene che i figli di questa terra siano ovunque. In Italia, sì, ma non solo. America, Canada, Svizzera, Australia. Reggio e la Reggina, il 13 giugno di 19 anni fa, si ritrovarono tutti insieme. Ad esultare e far festa. In ogni angolo di mondo. Coronando un sogno finalmente reAlizzato.

Allorquando questo ricordo volge comprensibilmente e naturalmente al termine, è giusto e doveroso che si riprenda a sognare di rivivere quelle sensazioni. Darle per scontate, accontentarsi di averle giá vissute è un peccato che, di certo, sarebbe mortale commettere. Al pari del cullarsi su una mera memoria. Che, in fondo, non è altro che un’opaca, per quanto splendida, sfumatura del presente. Si deve riprendere a sognare. Si deve riprendere a costruire. Si deve riprendere a stare insieme, uniti. Si deve riprendere ad essere tifosi della RegginA. Quella che, in fondo, non ci ha mai tradito. Ma, anzi, ci ha regalato alcuni dei migliori momenti e ricordi della nostra vita. Come quel 13 giugno del 1999.