Reggio, l'omelia di Monsignor Morrone: 'Mi sento a casa'

L'omelia integrale di Monsignor Morrone pronunciata nella basilica cattedrale per l'inizio del suo ministero episcopale a Reggio Calabria

Si è tenuta all’interno del Duomo di Reggio Calabria la celebrazione per l’inizio del ministero episcopale di Monsignor Morrone. Una cerimonia partecipata che ha visto la grande partecipazione della comunità religiosa.

L’omelia di Monsignor Morrone

Di seguito il testo integrale dell’Emilia pronunciata dall’arcivescovo per l’occasione:

“Con gioia e con trepidazione, carissimi tutti nel Signore, fratelli e sorelle, popolo santo di Dio qui convocato, mi rivolgo a voi per la prima volta, vostro nuovo vescovo inviato da papa Francesco qui nella cattedrale della Chiesa di Reggio-Bova, vostra casa ed ora anche mia, nostra casa comune. Grazie, grazie di cuore, per l’affetto corposo e tangibile che ho letto nei vostri sguardi, calorosi e accoglienti, sinceri. Grazie.

In mons. Giuseppe Morosini, saluto e ringrazio fraternamente in Cristo Gesù gli arcivescovi, i vescovi e i vescovi emeriti qui presenti. Ringrazio e saluto cordialmente i delegati fraterni delle chiese ortodosse e protestanti che assistono alla celebrazione eucaristica. Grazie.

Un saluto rispettoso a tutte le autorità civili, politiche e militari qui convenute, sono grato al Prefetto Mariani e al sindaco Falcomatà per l’accoglienza riservatami questa mattina a nome di tutte le autorità del territorio. Saluto e ringrazio il Sindaco di Bova Casile e il commissario prefettizio della città di Cutro: grazie della vostra presenza.

Un grazie a mons. Giuseppe Agostino, vostro concittadino e figlio di questa Chiesa, che mi ha ordinato prete ed ora senz’altro dall’alto dell’Amore trinitario tifa orante per tutti noi.

Grazie di cuore al mio Arcivescovo, Mons. Angelo Raffaele, che con delicatezza fraterna mi ha accompagnato fin qui.

Ringrazio anche monsignor Salvatore Santoro, delegato ad omnia, per il fraterno e incoraggiante saluto che mi ha rivolto a nome di tutti voi, e lo ringrazio anche per il lavoro che ha svolto in questi mesi per preparare l’avvicendamento alla guida dell’arcidiocesi, coadiuvato dalla Commissione diocesana istituita ad hoc.

Dicevo … Mi sento a casa, con voi, uno di voi, in questa bellissima e maestosa cattedrale, quasi architettonicamente custoditi perché possiamo gustare e celebrare, in questa santa liturgia, il mistero della fede: l’annuncio gioioso, la bella e insuperabile notizia che in Gesù siamo tutti, nessuno escluso, amati da morire.

Mentre qui, nel pane eucaristico spezzato celebriamo il segreto dell’Amore, vero nutrimento della vita umana, ben sappiamo che nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana, accanto alla tua porta, nel tuo quartiere, nel tuo ambiente lavorativo, amministrativo, culturale, educativo e ludico, tantissimi cercano e bramano che anche una sola briciola di questa vita sia loro elargita non come un semplice favore filantropico, ma come riconoscimento del valore di ogni singola persona in Cristo.

Per questo siamo sempre chiamati a fare nostro l’incipit della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1).

Di fronte a tutto questo, che pur risuona sincero desiderio nel cuore, la nostra inadeguatezza viene come interpretata dall’invocazione degli apostoli nel Vangelo: “Signore accresci la nostra fede”.

Si, la nostra fede è fragile e incerta Signore, a volte paurosa, sottotono di fronte al nostro mondo in continuo cambiamento, abitato sì da tante luci che fanno respirare il cuore, ma anche offuscato dall’ingiustizia e dalla violenta prepotenza. Queste ombre ci inquietano e ci interrogano. A volte, per vigliaccheria, le ignoriamo, quasi a negare la realtà, rintanandoci nei sicuri recinti delle nostre comunità o nei perimetri sacrali delle nostre liturgie, con la continua tentazione di occultare la tua luce splendida sotto il moggio.

Tu o Signore oggi ci hai avvertito che l’orrore e il sopruso, gli scandali che in genere attraversano i nostri cammini non provengono solo dal di fuori ma anche dal di dentro delle nostre comunità per il nostro stile di vita a volte antievangelico, peccaminoso. Non vogliamo sprofondare nel mare a causa delle nostre iniquità.

Al contrario tu ci richiami sempre a sostenere i piccoli e i deboli, a dare parola a chi non ha voce, a riconoscere dignità a chi è scartato, a offrire coraggio e sostegno agli sfiduciati. Ci inviti ad aprire nuovi e percorribili sentieri di concreta speranza ai tanti che non hanno la gioia di un onesto lavoro e a chi, volendo procurarsi il cibo con il sudore della propria fronte, è costretto dal malaffare a portare altrove competenze e passione. Ci chiami a metterci dalla parte di chi, resistendo per offrire futuro, soprattutto ai giovani, non sempre trova in noi cristiani sostegno e concreta solidarietà.

È anche vero che in questa chiesa di Reggio-Bova le comunità cristiane da molti decenni hanno accolto il tuo appello, Signore, e lì dove il grido sofferto degli ultimi si fa più grave, sono Tua presenza consolante.

Sono tanti i volti di credenti reggini, laici, seminaristi, diaconi, presbiteri e vescovi, che operando nella carità ti hanno riconosciuto e continuano a servirti, il più delle volte silenziosamente e di nascosto, nei tuoi e nostri fratelli più piccoli che sono in carcere, ammalati, soli, messi ai margini perché non hanno parola o non rientrano nei parametri selettivi della nostra cultura. Grazie Signore di tanta ricchezza: sono onorato di lavorare in questa tua vigna particolare. Ma sono ancora tante le sfide che la contemporaneità pone alla nostra comune attenzione ecclesiale.

E allora ancora ti imploriamo: “aumenta la nostra fede”.

Ma quale fede intendi tu o Signore?

L’albero sradicato e piantato contro ogni buon senso nel mare, è un’immagine incredibile e in fondo irragionevole ma che ben traduce l’immensa forza della fede paragonata ad un granello: basta un po’ di fiducia in Dio per spostare anche le montagne della nostra rigidità e arroganza.

Secondo il costume sociale dell’antichità, non esisteva un contratto di lavoro tra l’agricoltore padrone e il suo servo che in qualche misura potesse fissare i limiti di orario [per inciso oggi, nel nostro mondo occidentale e cosiddetto avanzato sui diritti sociali il lavoro sottopagato … immigrati]. Gesù inserisce la parabola dell’agricoltore sfruttatore in questo contesto: il servo appartiene al padrone, ricompensa e riconoscimento del lavoro del servo è un lessico ignoto. Il servo non si attende nulla: in tal senso lavora senza alcun utile. Fuor di metafora, Gesù ai suoi discepoli/servi, dunque a ciascuno di noi, chiede di non cadere nella trappola religiosa di contrattualizzare e mercanteggiare il nostro rapporto con Dio e di conseguenze con le persone con le quali condividiamo l’esistenza.

La logica religiosa di pretendere da Dio il dovuto appiattisce la nostra fede alla logica del merito in qualsiasi ambito umano si esprima: ti meriti quest’incarico, questo titolo, questa posizione, questo posto, questo potere: meriti di essere vescovo.

Il mio ministero tra voi, il nostro ministero amici presbiteri e diaconi, può degenerare in funzionari del sacro, custodi del do ut des, esattori della legge del dovere e del dovuto, della prestazione che attende in ogni caso la ricompensa in qualsiasi forma possa essere espressa. Quello che pretendiamo da Dio, lo esigiamo poi da coloro che siamo chiamati a guidare e diventiamo inesorabilmente padroni esosi e saccenti, paternalisti, pur di essere riconosciuti nel prestigio della carica che ricopriamo o nelle opere che, anche con fatica, abbiamo realizzato pur di essere ammirati dalla gente. Ma ben sappiamo che questa dinamica non è generata dalla Spirito di Gesù: in relazioni di subalternità non è in opera la libertà evangelica, quella libertà da sé che guardiamo ammirati nel folle uomo giusto, Giuseppe di Nazaret.

«Giuseppe – scrive papa Francesco – […] non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione» (Patris Corde, 7). Care amiche e amici, ce n’è per tutti!

Chi ha deciso di servire nell’amore, lavora nelle trame feriali e nascoste della vita, dove l’esistenza pulsa di inosservata gentilezza e dedizione, insieme a contraddizioni e fragilità, ma con acquisita naturalezza, esito di un lungo e paziente cammino di maturità cristiana, semplicemente umana. Qui solo lo sguardo amorevole del Padre di Gesù è ricompensa inaspettata e gratificante 100 volte tanto. D’altra parte la chiamata a prendere parte all’opera di edificazione del Suo regno non è in sé impagabile? Dov’è il dovuto? Siamo semplicemente dei graziati: sia quelli chiamati nella primissima ora sia quelli convocati nell’ultimo istante dal Signore della vigna.

Credo che solo da questa grata consapevolezza nasca l’insopprimibile desiderio che nessuno sia privato di assaporare anche una sola briciola della bontà del Signore, Vangelo di vita piena. Questa coscienza credente modella e delinea il volto missionario delle nostre comunità parrocchiali. L’EG, che ci indica “vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” è chiara su questo.

La gioia di appartenere al Signore senza alcun merito, divampata nel cuore di San Paolo lo ha spinto a portare la lieta novella di Cristo sino ai confini della terra. Questa Chiesa non è forse figlia di questo fuoco paolino generato dello Spirito? Abbiamo una grande eredità: non mortifichiamo la fiamma di questa fede che ha già spostato in questa diocesi le montagne. San Gaetano Catanoso, Mons. Ferro, don Domenico Farias, Maria Mariotti, don Italo Calabrò, Franca Maggioni Sesti, suor Antonietta Castelliti, per citarne alcuni, non sono forse scintille di questo fuoco dello Spirito che come luce gentile ancora ci guida e rischiara il nostro cammino e ci sollecita ad osare di più dietro Gesù?

La fede di questi testimoni è stata convincente e generativa perché sull’esempio luminoso della Vergine Maria, hanno posto il loro umano humus a totale servizio del Signore ben consapevoli che in loro, come in Maria, l’Onnipotente avrebbe operato grandi cose. È questa la fede che ci occorre: fede che libera da ogni ansia di prestazione autoreferenziale attivando tutte le energie migliori per la costruzione di spazi di tenerezza, di giustizia, di solidale e simpatica collaborazione con chi si impegna per convivenze accoglienti, tolleranti e pacifiche per una attiva e feconda cittadinanza nella casa comune di questo nostro piccolo mondo.

Coraggio popolo santo, chiesa di Dio in Reggio Bova, facciamo tesoro di tanta ricchezza, orgogliosamente responsabili di tanta bellezza, per essere anche noi concreta benedizione per tutti, nessuno escluso. Aiutatemi, pertanto, a non spadroneggiare sulla vostra fede, ma ad essere autentico servitore e collaboratore della vostra unica gioia, Cristo Gesù.

“Dio opera per chi non lavora per sé stesso”, scriveva a suo tempo J. H. Newman. Questa certezza, carissimi tutti, ci sostenga e ci conforti.

Prega per noi santa Madre di Dio, Maria di Nazaret, donna forte dal cuore puro, totalmente votata al tuo Signore, madre della gioia e della consolazione.

A te affidiamo questi nostri sinceri desideri perché si concretizzino in una fede che opera nella medesima Carità di tuo Figlio Gesù, nostro Signore.

AMEN”.