Da Reggio Calabria alla Slovenia: il vino biologico d’eccellenza fa il giro del mondo

Si chiama Prepotto, il paesino circondato da una t

Si chiama Prepotto, il paesino circondato da una terra selvaggia, boschi e frutteti si trova al confine tra Italia e Slovenia. In molti (italiani) non lo conoscono, altri invece ne fanno, da anni, una tappa dei loro viaggi. Americani, giapponesi e canadesi si spingono fin li per visitare ed acquistare il vino de “Le Due Terre”, l’azienda vinicola di Silvana Forte e Flavio Basilicata, marito e moglie figli del Meridione cresciuti però in quelle stesse terre che hanno dato loro modo di costruire un solido futuro.

Da appena cinque ettari di vite sgorgano 18 mila bottiglie di vino, biologico fin dalla fondazione nel 1984, riconosciuto nel mondo come un’eccellenza della tradizione artigianale italiana.

Silvana Forte è un’imprenditrice, nata proprio a Reggio Calabria da padre napoletano, militare, e madre friulana. Flavio, enologo, nato in una famiglia di contadini, ha origini casertane; entrambi però hanno vissuto nella provincia di Udine fin dalla più tenera età. Una storia semplice e tuttavia non comune. “Mi sono formata a San Giovanni al Natisone, ma è poco rilevante perché 40 anni interi li ho vissuti a Prepotto. La mia vita importante l’ho fatta qui”.

Silvana Forte lavorava nell’amministrazione di un’azienda, ma ha deciso di dare una svolta alla sua vita. “Ho abbandonato il lavoro di ufficio e mi sono dedicata alla vigna. Noi due, io e Flavio, abbiamo fatto la scelta da giovanissimi di lavorare per una famiglia di Udine, io per otto anni, lui per quattro, vicino a Cividale del Friuli. Era un’azienda di 17 ettari, nel Bosco Romagno, che produceva vini classici di quella zona: Tocai, Sauvignon, Pinot grigio, Pinot nero, Refosco”. Sempre con lo sguardo rivolto all’obiettivo di iniziare un’attività in proprio come giovani agricoltori. Ne avevano i titoli, 21 anni Silvana, sposa bambina, Flavio 24. “A 30 abbiamo deciso di chiudere quell’esperienza e di ripartire con una azienda nostra. Cominciando con una terra in affitto e un progetto comunitario per attingere ai finanziamenti per l’imprenditoria giovanile. Se non ricordo male, 120 milioni delle vecchie lire a fondo perduto”. E l’idea di abbandonare la strada della produzione industriale per seguire quella di un’agricoltura sostenibile.

È stato un trampolino di lancio per acquistare i primi due ettari a Prepotto, che ora sono diventati quattro di proprietà, più uno in affitto. “Siamo tornati alla patria di mio marito, per motivi molto importanti per noi. Abbiamo acquistato questa collina dove nel ‘600 c’era una piccola chiesa e piantumato tutto il terreno. Questa è zona di vitigni autoctoni pregiati, ribolla e schioppettino. Volevamo fare dei vini che avessero una qualità molto alta al punto da diventare delle eccellenze, che dovessero andare nel mondo e non fermarsi ai confini regionali o nazionali. E poiché nello scavo per piantumare ai piedi della chiesa vennero fuori grossi sassi, l’idea fu di chiamare uno dei vini prodotti Sacrisassi, un bianco e un rosso, ed è stato un nome molto fortunato; sono quelli in cui crediamo di più”.

Erano dei pionieri alle “Due Terre”, perché di vino biologico non parlava ancora nessuno. “La nostra lungimiranza in 30 anni è stata premiata, e se ora vengono dei compratori giapponesi, è per vedere questo pugno di terra. L’ispirazione ci è stata data dal Romanée-Conti di Borgogna, un vino mitico, amato dai più grandi sommelier del mondo, da 1000 a 2000 euro a bottiglia che nasce in appezzamenti di 3,4 ettari ciascuno. Ovviamente non è il caso nostro, ma abbiamo dimostrato che cinque ettari bastano per produrre vini eccellenti e premiati ovunque”. Al Vinitaly, due anni fa, hanno ricevuto il riconoscimento dal presidente della Repubblica.

Le 18 mila bottiglie prodotte annualmente sono ripartite su quattro vini: i due Sacrisassi (uvaggio di schioppettino e refosco), un merlot e un pinot nero, tre rossi e uno bianco. Il lavoro è tutto delle mani dell’uomo e i prodotti chimici sono banditi. L’inerbimento delle vigne, la tutela del bosco a margine dell’azienda, le lavorazioni concorrono a far sì che l’ecosistema reagisca positivamente in sinergia con l’uomo e consentono interventi minimi in cantina. Solo zolfo e rame per la lotta ai parassiti. “Forniamo l’analisi dei vini e dei terreni. Questa collina non ha mai visto né un concime né pesticidi. Ce l’ha confermato anche un famoso laboratorio di Londra a cui abbiamo mandato dei campioni”. Il vino nato alle “Due Terre” va sulle tavole di appassionati “che sanno chi siamo. In Italia abbiamo la migliore ristorazione, chef stellati, le trattorie più gourmet. La concorrenza, se crei un’eccellenza, non la temi perché quello che fai tu è una cosa speciale, unica. Da giovani abbia fatto un vino passito, Tassio, che non si è ripetuto perché abbiamo perso la vigna in affitto e non avevamo più uve, ma è arrivato alla tavola più celebre, quella del papa”.

Anche la figlia Cora, 25 anni, ha deciso di seguire le orme dei genitori. “Ora siamo due donne, Cora è con noi, fin da ragazzina voleva stare in azienda. Studia e lavora. Ha un grande amore per la terra, ha scelto di continuare pur sapendo che significa vivere un po’ isolati”.

La vinificazione avviene in modo tradizionale, senza tecnologia, attraverso l’uso di lieviti indigeni, fermentazioni spontanee e permanenza in barriques di rovere francese per circa ventidue mesi, senza travasi, per conservare le caratteristiche delle varietà e l’integrità del prodotto. I risultati sono vini naturali e longevi, carichi di onori, per enoappassionati sparsi in diversi continenti. Da prenotare ogni anno. C’è grande curiosità e tantissime richieste di visite in cantina. “Il mondo del vino oggi è spaccato, quando vado in giro a fare degustazioni, mi rendo conto di come è cambiato l’approccio e di quanto sia richiesto il prodotto naturale e artigianale privo di solfiti, con una lavorazione più umana, un vino più sincero e autentico. Questa è la tendenza sui nostri mercati esteri di Giappone, Usa e Canada, Norvegia, Danimarca, Svizzera, e su quello nazionale. L’Italia per noi è uno sbocco commerciale importante quanto quello giapponese, consolidato da venti anni, dove abbiamo un’importatrice che ha fatto conoscere tutti i vini artigianali, ed è un vanto appartenere al suo album. Importa etichette uscite anche da un solo ettaro, qualcosa di raro ed eccellente”.

In una famiglia di nove fratelli, Silvana Forte ben presto ha dovuto rimboccarsi le maniche. Ha studiato ragioneria fino al terzo anno, i suoi genitori non potevano mantenerla, “ed è stata una sfida anche quella, la passione mi ha aiutato. Se oggi giro il mondo, parlo inglese, vado dai miei clienti a portare il nostro brand, questo è frutto di una crescita personale. Altre mie colleghe si sono trovate l’azienda di famiglia e hanno frequentato università prestigiose, io sono autodidatta, la voglia di riuscire mi ha portato a studiare, a fare il corso di sommelier”.

C’era il luogo comune secondo cui una vera contadina dovesse essere grande e grossa, fornita di muscoli possenti. Ma lei con quel fisichino cosa vuole fare? “Ecco cosa mi sono sentita dire quando a 20 anni sono andata a fare il colloquio per iscrivermi alla Coldiretti come imprenditrice agricola. Nessuno riusciva a vedermi alla guida di un trattore. E c’era poca considerazione nei confronti delle donne. Oggi tante di noi stanno facendo la storia del vino. Per fortuna Confagricoltura era più aperta, una donna poteva mandare avanti un’azienda agricola, avere successo anche all’estero, spedire in tutto il mondo il vino e non per forza in una damigiana”.

“La cosa bellissima è che puoi lavorare fino alla fine dei tuoi giorni, la campagna ha sempre bisogno di braccia. Mio suocero, 93 anni, vive con noi e fino a 90 ha vendemmiato e imbottigliato. Come in tutte le cose ci sono delle evoluzioni e bisogna coglierle. Abbiamo la possibilità di lavorare a casa nostra, non dobbiamo prendere la macchina, con orari umani, li decidiamo noi. La nostra è stata la scelta di uno stile di vita, abitare tra le colline, tra le vigne, in un modo più rilassante. Diciamo che quel sogno che molti vogliono realizzare dopo la pensione, noi l’abbiamo vissuto fin dai vent’anni e non ce ne pentiamo”.

La dimostrazione tangibile de “Le Due Terre” è che, anche una piccola realtà, può emergere, dal mare delle grande industrie.

 

Fonte: Repubblica.it