'Ndrangheta stragista, ergastolo per Graviano e Filippone

Fine pena mai: questa la storica decisione del tribunale di Reggio Calabria

Fine pena mai: questa la storica decisione del tribunale di Reggio Calabria che ha accolto le tesi dei magistrati della distrettuale antimafia reggina, condannando alla pena dell’ergastolo l’ex capo mafia palermitano Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, capo bastone orbitante nella galassia dei Piromalli, entrambi ritenuti colpevoli di essere i mandanti dell’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo. Il giudizio, letto dal presidente della Corte d’Assise Ornella Pastore, è arrivato dopo due giorni di camera di consiglio. Una decisione dal sapore storico quella dei togati reggini che, per la prima volta inseriscono, nel contesto delle stragi che hanno messo a ferro e fuoco  l’Italia tra il 1992 e il 1994, un’intesa tra i vertici della mafia siciliana e quelli del crimine organizzato calabrese.

Brancaccio e Gioia Tauro, Cosa nostra e ‘ndrangheta: c’è un filo rosso quindi che unisce la Calabria e la Sicilia sullo sfondo degli attentati che tra il 1992 e il 1994 insanguinarono lo Stivale. Un filo rosso che, ha stabilito la Corte d’Assise del tribunale di Reggio Calabria dopo due giorni di camera di consiglio, finisce per intrecciarsi con l’attentato costato la vita a Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, i due carabinieri caduti sotto i colpi di un commando di fuoco nel gennaio del 1994: la loro auto fu intercettata dai sicari sull’autostrada, a due passi dallo  svincolo di Scilla. Un doppio omicidio eclatante che rientrerebbe nell’ottica di una strategia comune tra Cosa nostra e ndrangheta per piegare lo Stato – già colpito dalle bombe esplose tra Roma, Firenze e Milano – e a cui vanno aggiunti gli attentati sempre avvenuti in provincia di Reggio Calabria, che solo per caso non provocarono altre vittime, ad altre due autopattuglie dell’arma.

Ora, a distanza di 27 anni dalla strage dell’autostrada, i giudici sono riusciti a ricollegare i fili di una vicenda intricatissima che matura – ha sostenuto nel corso della sua requisitoria fiume durata per cinque udienze il Procuratore aggiunto di Reggio, Giuseppe Lombardo – in un contesto oscuro, in cui al crimine organizzato di entrambe le sponde dello Stretto, si sarebbero mischiati, come da consolidata e insopportabile tradizione quando si parla di stragi italiane,  pezzi deviati delle istituzioni e dei servizi segreti. Secondo la distrettuale antimafia di Reggio infatti «tutti questi pezzi convergono per rappresentare uno scenario che questa nazione non meritava di vivere».

Uno scenario desolante che emergerebbe anche da un memoriale che l’ex boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, ha fatto recapitare ai giudici riuniti in camera di consiglio; un memoriale – riporta Lucio Musolino nell’edizione odierna del Fatto Quotidiano – in cui lo stesso Graviano farebbe risalire il suo arresto, avvenuto a Milano nel gennaio del 1994, all’interessamento «oltre chiaramente alle forze dell’ordine, anche a Contorno e Berlusconi».

Ora, la sentenza della Corte d’Assise, segna, almeno in primo grado, un nuovo importante tassello che potrà servire nella ricostruzione di un periodo tremendo, segnato dal sangue dei tanti che finirono stritolati da quello che, a tutti gli effetti, appare come un vero e proprio disegno eversivo messo in campo dai vertici del crimine organizzato siciliano e calabrese.