Ultramobile - Dio salvi la Pandina

La rubrica di motori di CityNow torna a parlare di un mito intramontabile.

In questo periodo, si assiste a una sorta di sindrome dissociativa in quel di Torino, o dovunque si sia collocato, nel Mondo o in una realtà parallela, il quartier generale FCA: da un lato, c’è il settore Heritage, che pare voglia tutelare le storiche; dall’altro, ti inducono a rottamare la Panda, che ormai è storica a tutti gli effetti, fermo restando che sia un simbolo, esattamente come la 500.

Come si può sostenere una tesi simile? Come si può indurre il cliente tipo, che peraltro dovrebbe comprare una improponibile Tipo, a rottamare un capolavoro di Giugiaro, a distruggere un pezzo di Storia dell’Architettura, del Design, del Progetto? Quale mente può partorire una simile contraddizione? Semplice: la mente composita di una casa italiana, che di italiano ha ormai ben poco, rimasta orfana di Sergio Marchionne, criticato per aver ucciso la Lancia, ma senza il quale non avremmo nemmeno più la Fiat.

Forse. Forse, perché qualcuno l’avrebbe presa, fosse anche a prezzo di saldo, fosse anche a una cifra simbolica, fosse anche al cestone dell’Autogrill. Perché Marchionne, criticato o meno, ha tenuto il più possibile in Italia, facendo produrre la Panda a Pomigliano d’Arco. Gli costava 1000,00 Euro in più, però era sempre meglio che avere un simbolo di italianità prodotto in Polonia.

Un ottimo argomento, oltretutto, per giustificare la fuga della Fiat. Ma la fuga di cervelli, in Italia, non è mai abbastanza, se per quasi Due mesi abbiamo dovuto assistere a una campagna così coraggiosamente autodistruttrice, in cui nemmeno Rovazzi si salva, ormai abusato e onnipresente.

Una Casa automobilistica seria, una Casa automobilistica che dice in continuazione di voler bene all’Italia, quando in realtà dovrebbe regalare una Panda a ogni italiano, per tutti i fondi ricevuti dal 1899 a oggi, incentiverebbe alla conservazione del Patrimonio storico circolante, proponendo sconti interessanti a chi dimostri di possedere una Fiat storica.

Anche perché, giù la maschera, gli stessi identici sconti vengono praticati anche quando non ci sia nulla da rottamare. Il successo della Tipo, molto relativo, si spiega solo secondo questa pratica diffusa: sparare alto, fingendo di sparare basso, per poi scontare molto. Sarebbe utile sapere quale beneficio porti, ma gli utili lo dicono.

Se si sono fatti vivi, dopo anni di rosso, è stato solo grazie a Marchionne, e non grazie alle montagne russe dei listini. È dai tempi della Y10 che continuano a fare su e giù coi prezzi, disorientando la clientela e orientandola, alla fine, verso altri marchi. Forse agli italiani piace così, ma in nessuna nazione europea si induce a rottamare il passato, in nome di un deprimente presente.

Per la cronaca: la Tipo nasce in Turchia. Molto più interessante quello che avviene in Brasile, a questo punto, dove il Marchio riceve attenzioni alla Storia molto più incisive, in confronto. Nessuno di quei modelli potrebbe avere senso qui da noi, ora come ora, ma c’è molta più italianità e molta più attenzione al valore e alla Storia del Brand, in proporzione.

In questo quadro, la 500 pare scomparsa dagli interessi della Casa, con vendite in flessione costante. Come mai?