"Un Uomo": il romanzo-verità sulla vita di Alekos Panagulis

di Eva Curatola - "Un ruggito di dolore e di rabbi

di Eva Curatola“Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! (Vive, vive, vive!) Un ruggito che non aveva nulla di umano. Infatti non si alzava da esseri umani, creature con due braccia e due gambe e un pensiero proprio, si alzava da una bestia mostruosa e senza pensiero, la folla.”
Comincia cosi “Un Uomo” di Oriana Fallaci, dalla fine, dal funerale di Alessandro Panagulis (Alekos per gli amici e la polizia, come diceva la stessa Fallaci in un’intervista); l’uomo non sarà solo il protagonista del libro, o colui che verrà ricordato come l’eroe della resistenza greca contro il regime dei colonnelli, ma l’uomo che riuscì a far breccia nella corazza della scrittrice, l’unico, probabilmente, ch’ella abbia mai amato.
“E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la mia vita senza di te. Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni, alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita! E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni, i fenomeni.”
Alekos Panagulis nel 1968 è condannato a morte per l’attentato a Georgios Papadopulos. Segregato per cinque anni in un carcere dove subisce le più atroci torture e poi restituito brevemente alla libertà, conoscerà anche l’esilio. Perde la vita in un misterioso incidente d’auto nel 1976. Oriana Fallaci incontra Panagulis nel 1973 quando, graziato di una grazia che non aveva chiesto ma che il mondo intero reclamava per lui, esce dal carcere. I due si innamorano di un amore profondo, complice, battagliero. Lei lo affianca e ne condivide la lotta.
Strano a dirsi, ma il racconto segue la classica struttura della fiaba:
Esordio: la bomba o attentato a Papadopulos;
Movente o complicazione: l’arresto, le torture, il processo, la condanna a morte;
Peripezie dell’eroe: l’esilio e il ritorno in patria dopo la caduta della dittatura;
Conclusione: la cattura dei documenti, la morte e i grandi funerali.
Inizialmente avremo difronte un Panagulis con indosso la maschera del terrorista, quella che per molti anni gli era stata affibiata, ma con lo scorrere delle pagine questa maschera si sgretolerà lasciando spazio ad un uomo fomentato dai suoi ideali, dal forte spirito democratico, ma soprattutto un uomo libero, un uomo ribelle. E proprio a causa della sua continua ribellione, Alekos Panagulis esalerà il suo ultimo respiro. Per lungo tempo definito un incidente stradale, il momento che mette fine alla vita dell’eroe della Fallaci si rivelerà invece un attentato.
Come sempre accade nei suoi libri, le parole sono forti, crude ma appassionate; piene di quello spirito anticonformista che da sempre la contraddistingue dagli altri, collacondola un gradino al di sopra dei comuni mortali. La lettura è si scorrevole, ma allo stesso tempo non si può fare a meno di soffermarsi a lungo su pagine cosi ben costruite.
Il romanzo rappresenta la giustizia, la verità che doveva essere raccontata e contiene il ricordo di quelle sue parole: «Morirò e scriverai un libro su di me… Morirò e allora sì che mi amerai per sempre».

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