Zapatos Rojos’, la mostra che ha incantato la città. Serena Carbone spiega tutti i dettagli del progetto.
14 Novembre 2013 - 09:13 | di Redazione

di Vincenzo Comi – Centinaia e centinaia di scarpe rosse da donna, ‘zapatos rojos’, hanno invaso simbolicamente la via Cattolici dei Greci, nel cuore della città, per dire basta alla violenza contro le donne. Zapatos Rojos è un progetto itinerante d’arte pubblica dell’artista messicana Elina Chauvet. Serena Carbone, organizzatrice dell’evento a Reggio Calabria spiega nell’intervista rilasciata a citynow.it tutti i dettagli di una mostra che ha incantato, da Ciudad Juàrez a Reggio Calabria, migliaia di persone in tutta Italia. Il progetto dell’artista messicana ha avuto una risonanza mediatica a livello mondiale. Qual è, secondo Lei, il segreto del suo successo?Credo che la forza di Zapatos Rojos di Elina Chauvet sia racchiusa nel messaggio e nell’oggetto scelto per veicolarlo, la scarpa. Entrambi sono trasversali a spazi e generi. Da Ciudad Juárez dove l’installazione è stata fatta la prima volta a Reggio Calabria, ultima tappa del progetto itinerante, la violenza di genere è un urgenza sociale da combattere. La scarpa poi è il tramite, l’oggetto prescelto, il come se per spostare il significato altrove, in un mondo lontano, come quello delle fiabe – come non pensare a Dorothy o Cenerentola – , un mondo intimo ma al contempo violato. Le scarpe non sono infatti indossate, la marcia si compone e metaforicamente avanza solo grazie al contributo dei singoli individui chiamati a compiere un semplice gesto: donare un paio di scarpe, che poi vengono verniciate di rosso, se non lo sono già e poggiate a terra insieme alle altre.Un progetto itinerante che ha toccato città importanti in tutto il territorio nazionale. In che modo Zapatos Rojos arriva a Reggio Calabria?Ma è molto semplice in realtà… era il 25 maggio quando un caso di femminicidio colpì la Calabria. A Corigliano Calabro il corpo di una ragazza venne trovato senza vita e poco dopo fu chiaro che era stato il “suo” ragazzo ad ucciderla. Allora collaboravo con un giornale ed anche se mi occupavo di arte, mi sono ritrovata, per ragioni di redazione, a scrivere sul caso. Feci un giro in rete per alcune informazioni e mi accorsi che sempre più spesso alla voce femminicidio corrispondeva l’immagine delle “scarpe rosse”. Così scoprì che l’immagine apparteneva ad un progetto d’arte pubblica, Zapatos Rojos appunto, di un’artista messicana Elina Chauvet. Contattai quindi Francesca Guerisoli che è la curatrice del progetto a livello nazionale e poi… io vivo a Reggio, non avrei potuto immaginarlo altrove. Da qui il coinvolgimento delle associazioni, prima Libera e poi il CSV-Centro Servizi per il Volonatriato che mi hanno aiutato a diffondere l’iniziativa e creare la rete che ha sostenuto il progetto.Qual è stata la risposta dei cittadini reggini?La risposta è stata ottima! Al di là del numero delle scarpe che è stato raccolto, domenica ho visto una città viva, presente, con donne e bambini che coloravano, parlavano tra loro e ragazzi, studenti dell’Accademia, attivissimi nel sostenere il tutto. Loro hanno dato un grande aiuto, oltre ad impegnarsi concretamente nell’elaborazione dell’immagine grafica ed a questo proposito un grazie particolare va all’instancabile Francesca Nocito, ma anche alle ragazze dell’Associazione DID.AR.T, Alessia De Pasquale e Laura Beltrano, che sono state tutto il giorno attente a spiegare cosa stava accadendo a chi si avvicinava anche per semplice curiosità.La mostra ha un linguaggio comunicativo molto forte e diretto…Si, è la forza dell’immagine. In questo caso non disgiunta da un reale significato, ovvero quello di dire stop alla violenza sulle donne. L’isolamento, di cui spesso la paura è figlia, e che impedisce la denuncia piuttosto che la “ribellione”, viene combattuto con l’informazione usando i mezzi della comunicazione, social network soprattutto, e proprio per questo il messaggio riesce ad avere una grande diffusione.Sono poche le manifestazioni culturali di questo tipo a Reggio. L’arte e la cultura dovrebbero essere invece alla base di ogni comunità. Cosa è necessario fare per invertire questa tendenza?Bella domanda! Reggio in questo momento vive una situazione particolare, il Museo Nazionale Archeologico è in attesa della riapertura, mentre Villa Genoese Zerbi l’unica sede espositiva per mostre d’arte temporanee è stata chiusa. La città non ha spazi dedicati alla cultura, spazi fisici intendo dove poter organizzare mostre, conferenze, incontri, proiezioni di film etc.. Di questo si sente l’assenza. Si dovrebbe partire da questo credo, avere uno spazio gestito da persone competenti. Perchè oggi l’arte come sappiamo è risorsa economica oltre che culturale, e ci sono professionisti di settore che lavorano e sono formati per questo, l’improvvisazione e la mancata programmazione sono le nemiche della crescita culturale. Dobbiamo creare dei centri produttori di cultura, in cui si riscopra il territorio in un ottica di risorsa, un territorio che del resto ha la sua storia, non minore ma differente da quella dei grandi centri, per ovvie ragioni. A mio avviso non è nella ricerca di emulazione di ciò che sta fuori che faremo della cultura una risorsa, ma solo nella scoperta e rilettura di quello che abbiamo già, messo però in relazione con una storia nazionale ed internazionale. Sembra difficile, detto così, ma non è impossibile.Il tema è quello della violenza sulle donne. Come si può continuare a tenere alta l’attenzione sul femminicidio attravero l’arte?L’arte purtroppo non da risposte concrete ma da sempre può insinuare dubbi, domande, perchè. E credo che se la mente è stimolata in tal senso già è un primo passo verso la consapevolezza dell’esistenza di un problema. A Reggio si potrebbe continuare per esempio lavorando con artisti della città e pensare ad un progetto specifico, piuttosto che proiettare il film che è stato girato tempo fa proprio a uarez, Bordertown ed uscito nel 2007. Queste potrebbero essere delle soluzioni, ma credo che sia importantissimo agire a livello educativo, quindi nelle scuole e magari inventare dei laboratori con i ragazzi, per fortuna l’ arte permette diverse manipolazioni della forma a favore del messaggio.Quali secondo Lei sono gli strumenti da utilizzare per dire stop alla violenza sulle donne?Credo che la legge prima di tutto debba intervenire, poi devo dire che in queste settimane sono stata presente ad alcune riunioni dove c’erano le donne che lavorano nei Centri Antiviolenza. Quello che mi ha colpito è che loro dicevano che il vero problema, oltre l’allontanamento e la denuncia, è il dopo, ovvero garantire alla donna vittima di violenza l’indipendenza che passa prima di tutto per l’indipendenza economica, e quindi un lavoro. Quindi credo che anche le aziende, le cooperative e perchè no lo Stato dovrebbero prestare una particolare attenzione in questo senso per cerare nuove possibilità di inserimento nella società. Quali sono state le associazioni reggine che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento?Il CSV – Centro Servizi per il Volonatriato con il suo responsabile, Mario Nasone, è stato di fondamentale importanza per raccordare le associazioni e gli enti che hanno aderito, che sono: Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, Amnesty International, A.N.P.I., ARCI, Arcidiocesi di RC-Bova Comunità di Accoglienza ONLUS – Centro Antiviolenza “Casa A. Morabito”, Centro Antiviolenza “Margherita”, Centro Antiviolenza “Casa delle Donne” – C.I.F. (Centro Italiano Femminile) Provinciale di R. Cal., Centro Comunitario Agape, Consigliera Parità Opportunità della Provincia Reggio Calabria, Comitato “Donne e Madri in difficoltà”, Coop.Ichora, DID.AR.T didattica, arte e territorio, G.A.D.IT delegaz.RC, G.O.V.I.C. Gruppo Ospedaliero Volontari in Chirurgia, IDEAREE, Istituto per la Famiglia sez. 319 Gallico, IPF sezione 278 di Ionadi (VV), Legambiente Onlus, Libera, Me Mus.le (Ecojazz), Maestri di Speranza, Progetto Farasha, Presidente Commissione Regionale Pari Opportunità, SNOQ – Se Non Ora Quando Reggio Calabria.Qual è il suo augurio per il futuro?Spero che le associazioni riescano realmente e concretamente a far rete, a conoscersi, parlarsi ad agire in maniera organica verso un unico obiettivo… poi tutto il resto verrà da sé. Il territorio ha dimostrato di avere tante energie sarebbe un peccato lasciare che si disperdano.