Da Reggio al Donetsk: Alessandro Lamberti Castronuovo guida le cliniche di EMERGENCY

Alessandro Lamberti Castronuovo, medico e coordinatore del progetto di EMERGENCY in Ucraina: "La guerra ha conseguenze su tutta la comunità. E noi offriamo la nostra assistenza a tutti"

emergency ucraina

Nel Donetsk, ci sono villaggi dove l’orologio non segna più le ore, ma gli anni dall’ultima volta che un medico è passato di lì. Anziani soli, disabili, famiglie che non hanno potuto – o voluto – partire. Le strade sono crateri, gli ospedali diventati caserme, i dottori partiti per altri fronti. Qui, un misuratore di pressione è un lusso e una compressa di paracetamolo è una frontiera sottile tra resistere e cedere.

È in questo vuoto che EMERGENCY ha piantato una rete di cliniche: qualche edificio recuperato dalle macerie, container prefabbricati con attrezzature essenziali, medici e infermieri del posto formati per reggere l’urto. Quattordici villaggi nel distretto di Oleksandrivka, circa 10mila persone oggi; l’obiettivo è triplicare entro fine anno. E a fare da collante, le operatrici di comunità: donne che vanno casa per casa, ascoltano, misurano, segnalano. In un sistema sanitario ridotto all’osso dalla guerra, anche l’ascolto è già una cura.

L’intervista al coordinatore del progetto Alessandro Lamberti Castronuovo

Askanews ne ha parlato con Alessandro Lamberti Castronuovo, medico e coordinatore del progetto di EMERGENCY in Ucraina. Da ottobre 2023 guida l’équipe che ha messo in piedi la rete di cliniche nel Donetsk, muovendosi tra riunioni con le autorità locali e visite nei villaggi, spesso lungo strade interrotte o sotto il rumore lontano dell’artiglieria. La sua è una medicina fatta di logistica, formazione e ascolto, in un territorio dove anche la cura più semplice può diventare un’operazione complessa.

“L’intervento – dichiara Lamberti Castronuovo – è nato da un’analisi dei bisogni nei territori rurali isolati dell’Oblast di Donetsk, dove la guerra ha aggravato criticità già presenti. Abbiamo riscontrato che nei villaggi più periferici le strutture sanitarie erano assenti o compromesse, il personale sanitario spesso irreperibile, e le comunità più vulnerabili – anziani, disabili, famiglie senza sostegno – non avevano accesso nemmeno alle cure più basilari. Lì, la nostra azione poteva essere immediata e strutturante. Così, da ottobre 2023, abbiamo scelto di intervenire. La guerra ha conseguenze su tutta la comunità. E noi offriamo la nostra assistenza a tutti, soprattutto a persone anziane con malattie croniche, pazienti disabili, donne sole, famiglie a basso reddito. Alcune non hanno avuto le risorse per evacuare, altre hanno scelto di rimanere. Vivono in villaggi dove mancano i trasporti pubblici e l’assistenza sociale. Per loro, anche solo misurare la pressione o ricevere una semplice prescrizione può fare la differenza”.

Le difficoltà della logistica e i servizi attivati

Quali sono le difficoltà principali per garantire cure di base in una regione dove spesso mancano anche strade e trasporti?

“La logistica è la sfida maggiore. Le strade sono spesso impraticabili, a volte neppure asfaltate. Il rifornimento di farmaci è instabile. Il personale sanitario qualificato è scarsissimo nelle zone rurali. Chi è solo, chi non può spostarsi, chi non ha evacuato: sono loro a pagare il prezzo più alto”.

Quanti ambulatori avete attivato finora e quali servizi riuscite a garantire nei villaggi coinvolti?

“Siamo presenti in 14 villaggi nel Donetsk, nel distretto di Olexandrivka, con un bacino di circa 10.000 beneficiari. Offriamo servizi di medicina generale, monitoraggio delle patologie croniche, distribuzione gratuita di farmaci e di dispositivi sanitari per persone disabili. C’è anche un orientamento sociosanitario per facilitare l’accesso a vaccinazioni, screening, visite specialistiche”.

La collaborazione con le autorità ucraine e le operatrici di comunità

In che modo riuscite a collaborare con il personale sanitario locale e con le autorità ucraine?

“Il nostro intervento è integrato nel sistema locale. Non costruiamo un modello parallelo. Collaboriamo con autorità sanitarie, medici e infermieri di comunità già attivi. Promuoviamo un approccio integrato che valorizzi le risorse locali e ne rafforzi le competenze. Abbiamo firmato accordi clinici e amministrativi con le istituzioni locali. E puntiamo molto anche sulla formazione, dalle emergenze mediche alla salute mentale”.

Una parte importante del progetto sono le operatrici di comunità: che ruolo giocano nella rete di assistenza?

“Sono donne laiche, reclutate nei villaggi stessi, e che quindi conoscono la comunità, formate da noi per riconoscere bisogni sanitari e sociali. Vanno casa per casa, monitorano l’aderenza alle terapie croniche, facilitano l’accesso alle cure. Funzionano da ponte tra la comunità e il sistema sanitario. Offrono anche educazione sanitaria e sostegno emotivo, spesso intercettano per prime i segnali di disagio mentale”.

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C’è un momento, un volto, una storia che per lei riassume il senso di questo lavoro?

“Non ce n’è una sola. È l’insieme dei piccoli gesti quotidiani: una signora che riceve l’insulina a casa, un paziente salvato da un coma diabetico grazie all’intervento tempestivo di un’operatrice di comunità, una donna sola che trova ascolto. Il senso del progetto è tutto lì: rendere visibili e curabili quelli che sarebbero invisibili”.

I prossimi passi di EMERGENCY in Ucraina

Guardando avanti: quali sono i prossimi passi per rafforzare la presenza di EMERGENCY in Ucraina e rispondere ai bisogni che continuano a crescere?

“Da ottobre espanderemo il progetto in due nuove province, passando da 10.000 a 30.000 beneficiari. Stiamo assumendo nuovo personale, nuove operatrici, e integrando servizi come lo screening per malattie infettive in collaborazione con ospedali e università locali. Rafforzeremo anche il supporto psicologico e la raccolta dati, per rendere il modello sostenibile e replicabile”.

Ci sono guerre che si curano in silenzio, villaggio dopo villaggio, a colpi di insulina, ascolto, dignità. In una regione ferita, EMERGENCY non porta miracoli. Ma una medicina rara: restare.

Fonte: askanews.it