A tu per tu col dottore Domenico Veneziano

In esclusiva per Citynow, un’intervista ad un reggino DOC, innamorato della propria città che gira il mondo per la professione di medico. Cuore, preparazione ed intelligenza senza dimenticare le proprie origini

Chi è Domenico Veneziano?
Domenico Veneziano, classe 1980, è un Urologo di Reggio Calabria ed ha conseguito la certificazione del board europeo di Urologia nel 2012. Impegnato attualmente presso l’Unità Operativa di Urologia e Trapianti di Rene di Reggio Calabria, sotto la guida del Dr. Pietro Cozzupoli, si occupa prevalentemente di chirurgia mini-invasiva, addestramento chirurgico e tecnologie della simulazione. Fa parte dei tutor di laparoscopia della società europea di Urologia (EAU) dal 2012 ed è coordinatore del corso di formazione EUREP, fiore all’occhiello dell’EAU. Ha conseguito nel 2014 il titolo di “Fellow di simulazione chirurgica dell’American College of Surgeons”, dopo aver svolto presso l’Università del Minnesota (USA) uno dei primi percorsi formativi al mondo, in relazione a tale specifico settore della medicina. Nell’ultimo anno ha contribuito alla realizzazione di differenti strumenti di addestramento chirurgico ed ha partecipato a svariati convegni internazionali in veste di relatore, per diffondere le ultime novità nel settore del training chirurgico.

Ci racconti della sua esperienza americana presso l’Università di Minneapolis.
L’esperienza fatta presso l’Università del Minnesota è stata straordinaria, oltre che fondamentale per la mia carriera. La “U of M” è tra i più grandi campus degli States e conta oltre 60.000 iscritti. E’ un’Università nota per la ricerca tecnologica ed ha sfornato più di un premio Nobel in passato. L’opportunità offertami presso il SimPORTAL, struttura dove lavoravo, è stata davvero unica. Nonostante avessi già un’esperienza personale di insegnamento e direzione di eventi educational, nell’ultimo anno ho avuto modo di imparare i veri fondamenti di questa settore, comprendendo quanto si tratti di una vera e propria scienza. Insegnare la chirurgia significa comprenderla a fondo, scomporla e suddividerla in step semplificati, riprodurne alcuni momenti al fine di realizzare un simulatore, testarlo ed infine misurare l’incremento della performance. La realizzazione di un simulatore fa poi storia a sé, richiedendo collaborazioni inter-disciplinari con grafici, ingegneri, psicologi e persino truccatori. Il fatto che tra gli addetti ai lavori vi fosse un ex vincitore di Emmy Award, truccatore per Star Trek Generations e collaboratore di Arnold Schwarzenegger per ben cinque film, fa comprendere quale fosse lo spessore del centro stesso. Indubbiamente quest’esperienza, costata parecchi sacrifici a me e mia moglie, mi permette oggi di ritagliarmi in maniera molto netta un posto nel panorama medico-scientifico internazionale.

Cosa le ha dato il Corso Eurep in termini di professionalità?
Il corso EUREP di Praga (http://eurep2015.uroweb.org/ ) è stato un po’ il “carburante” della mia carriera. Si tratta del corso di Urologia più importante in Europa, con 360 partecipanti ogni anno e cinque giorni di addestramento intensivo teorico-pratico. Ringrazio ancora oggi il Dr. Andrea Minervini, collega fiorentino di altissimo spessore ed oggi anche carissimo amico, per avermi indirizzato nel 2009 verso questo corso, di cui ai tempi onestamente ignoravo l’esistenza. Si trattò di una vera svolta poiché ebbi modo di confrontare le mie competenze urologiche con quelle dei colleghi coetanei europei e questo mi diede di certo una forte spinta motivazionale. Il corso era già organizzatissimo, con sessioni teoriche gestite dai più celebri professori d’Europa e sessioni pratiche seguite da veri “expert” della laparoscopia.  Nel 2010, anno in cui presi parte al corso come specializzando, già partecipavo attivamente alle procedure chirurgiche in sala operatoria. Mi allenavo inoltre da parecchio tempo con gli strumenti laparoscopici grazie ad un piccolo simulatore che avevo realizzato in casa. Questo “allenamento” fu indubbiamente fondamentale per vincere il premio “Olympus training award”, rivolto ai dieci partecipanti che si erano dimostrati più talentuosi durante le sessioni pratiche del corso. Solo due anni dopo, nel 2012, fui chiamato dalla società Europea di Urologia per entrare a fare parte dei tutor di laparoscopia del corso e mi ritrovai ad essere il più giovane del gruppo docenti. Nel 2013 introdussi nello stesso corso il primo simulatore di mia concezione, sviluppato per l’uso delle ottiche laparoscopiche a 30° di inclinazione. Lo scorso anno, in considerazione delle competenze maturate negli Stati Uniti, mi è stato assegnato il coordinamento della parte pratica dello stesso corso. Essere passato da studente a coordinatore di un simile corso internazionale in soli 5 anni è per me una grandissima soddisfazione e mi da oggi un’incredibile spinta motivazionale e professionale.

Come è cambiata la preparazione alla professione dei medici nei tempi moderni?
La professione medica è tra quelle correlate ad altissimi rischi, in caso di errore. Un po’ come nel caso di un pilota d’aereo di linea, la distrazione o l’essere impreparati alla situazione di emergenza può causare danni gravi o persino la morte a svariati individui. Oltretutto, il settore medico richiede e mette in gioco costantemente ingenti capitali, che possono essere meglio gestiti se le competenze vengono affinate in maniera specifica, riducendo gli errori ed ottimizzando la degenza dei pazienti. Nonostante però i piloti dell’aeronautica, così come i soldati e i piloti di Formula 1, vengano già addestrati con tecnologie avanzatissime, l’educazione medica resta tuttora ancorata a standard non al passo coi tempi. Le Università e le scuole di specializzazione offrono una preparazione teorica variegata e non standardizzata, mentre la parte pratica viene spesso tralasciata per svariati motivi. Il risultato naturale è che i giovani chirurghi neo-specialisti spesso non hanno le competenze per eseguire interventi da primo operatore e questo si riversa a cascata sull’efficienza e la produttività delle Unità Operative che li assumeranno. Da questo punto di vista gli Stati Uniti hanno davvero una marcia in più. Le università americane sono spesso dotate di centri di simulazione, pressoché assenti in Europa, dove gli studenti possono passare il tempo giocando e toccando con mano gli strumenti che faranno poi parte del loro lavoro quotidiano. Mettere a disposizione cadaveri, animali da laboratorio e, nei centri più avanzati, sofisticati trainer sintetici tecnologicamente avanzati, richiede però fondi ingenti. Oltretutto, se l’uso dei cadaveri per scopi scientifici non è permesso in Italia, alcuni paesi (come l’Inghilterra) condannano persino l’uso degli animali per gli stessi fini. A tal proposito lo sviluppo di simulatori sintetici a cui mi sono dedicato in Minnesota potrebbe rappresentare una svolta, offrendo dei modelli standard su scala internazionale. Il tutto richiede però ancora una volta imponenti fondi di ricerca, che spesso mancano. In sintesi, l’addestramento pratico è una parte fondamentale e spesso dimenticata della formazione di un medico e non è un caso che tutti i nuovi laparoscopisti con cui mi confronto abbiano una cosa in comune: l’aver realizzato in casa un piccolo box per allenarsi da soli.

Cosa può fare la robotica per la Medicina?
La robotica per la medicina può fare molto più di quanto possiamo immaginare oggi. Il famoso Robot Da Vinci ci permette da qualche anno di operare il paziente abbattendo alcune difficoltà correlate alla laparoscopia. Non è un caso che la laparoscopia non si sia diffusa a macchia d’olio e sia ancora proprietà privata di pochi.  Le difficoltà tecniche correlate al suo apprendimento la rendono spesso frustrante e hanno inibito parecchi chirurghi della vecchia guardia. Il robot è stato mutuato dal settore militare proprio per colmare questo gap e per mettere alla portata di tutti la “complessa” laparoscopia. In buona sostanza, attraverso un visore 3D, oggi siamo in grado di operare tramite i classici “buchetti” con un sistema che semplifica le manovre, tramutando un naturale movimento della mano nel movimento del braccio robotico nell’addome del paziente, anche controllando il tutto in “telechirurgia” a kilometri di distanza. Il futuro che ci aspetta va però ben oltre. Basti guardare i robot delle catene di montaggio in ambito automobilistico, oggi in grado di analizzare superfici, montare componenti di precisione, compiere movimenti millimetrici e riverificarli cento volte in frazioni di secondo. L’illusione di oggi è che i “sensi” e l’esperienza del chirurgo siano insuperabili. Non mi stupirei se in un futuro prossimo i robot chirurgici potessero riuscire a riconoscere strutture anatomiche e operare da soli tramite avanzati sensori digitali, riservando al chirurgo soltanto le scelte correlate all’ambito etico. Del resto, chi avrebbe mai immaginato vent’anni fa un’auto che parcheggia completamente da sola?

Qual è il giudizio della Calabria “vista da lontano”?
La Calabria, così come l’Italia in generale, è vista all’estero come la patria del bello, del buon cibo, dell’eleganza e della “bela vitta”, come spesso pronunciano erroneamente gli amici americani. All’estero si chiedono, a ben ragione, come faccia un paese così ricco di talenti, creatività e storia a ritrovarsi in crisi economica anche perché, quando ci vanno in vacanza, la crisi non la percepiscono nemmeno. La Calabria viene vista come un luogo da sogno, con le sue belle spiagge e il sole tutto l’anno. Non nascondo però che i colleghi venuti in visita dagli States lo scorso anno si chiedevano spesso come mai la nostra Reggio fosse così trascurata. Tra le cose che ci rendono unici, ormai, c’è tristemente anche la capacità di abituarci e convivere con le criticità che ci contraddistinguono. Basterebbe davvero poco per risorgere, con tutti i beni ereditati dai celebri antenati Greci. Spero con tutto il cuore che i nuovi politici riescano in questa impresa.
Qual è la ricetta perché la sanità calabrese possa raggiungere gli standard del resto dell’Europa?
La domanda lascia presupporre che la nostra sanità non sia attualmente allineata agli standard europei, ma sono contento di poter smentire. Se per sanità intendiamo il livello e la qualità di trattamento offerta ai pazienti, ci tengo spesso a sottolineare come le percentuali di successo delle nostre procedure siano assolutamente allineate a quelle internazionali, nonostante le differenti problematiche che affrontiamo giornalmente. Questo fa chiaramente onore al personale medico e paramedico  che si spende giornalmente in favore del paziente. La nostra U.O. di Urologia nella fattispecie, riesce oggi a garantire ai pazienti i trattamenti mini-invasivi più avanzati e persino i trapianti di rene, di cui ben pochi reparti urologici possono fregiarsi a livello nazionale. Resta comunque l’evidenza del fatto che per raggiungere tali risultati è necessario uno sforzo non indifferente dettato da problematiche politiche e organizzative complesse. Nonostante la situazione relativa alle necessarie nuove assunzioni di personale sia ancora nebulosa, va detto che la maggior parte dei medici della mia generazione sono già emigrati stabilmente e difficilmente ritorneranno in territorio calabrese. La Calabria resta tra l’altro ancora l’unica Regione d’Italia non dotata di un robot chirurgico, il che la rende ancora meno appetibile per chi desidera lavorare in un ambiente al passo coi tempi. Il rischio che la situazione attuale di stallo possa seriamente precipitare nei prossimi anni è altissimo e per evitare ciò servirebbe un massiccio investimento in nuove tecnologie, ricerca e assunzioni. A questo andrebbe poi aggiunto un cambiamento dell’attitudine calabrese di lamentarsi dei problemi, pur senza agire concretamente per cercare di risolverli.

Quali sono gli obiettivi futuri che si pone?
Gli obiettivi professionali che mi pongo sono parecchi e su diverse “scale di grandezza”. Fortunatamente il lavoro che svolgo mi permette di crescere giornalmente come chirurgo, nel tentativo di insegnare la chirurgia agli altri. La possibilità offertami con il coordinamento EUREP mi permetterà a breve termine di introdurre alcuni nuovi concetti di addestramento chirurgico, che avremo modo di testare nei prossimi anni. Parlo ad esempio di protocolli di insegnamento standardizzati, che permetteranno ai tutor di insegnare secondo un percorso predefinito e non semplicemente  affidandosi alla propria, personale esperienza. Questo potrà garantire un insegnamento più omogeneo e un monitoraggio più semplice dell’apprendimento.  Seguirà anche l’introduzione di modelli di training più complessi e mirati alla risoluzione di precise situazioni chirurgiche di emergenza. Fondamentalmente l’obiettivo sarà quello di simulare innumerevoli volte quell’evento che può verificarsi di rado, ma che può mettere seriamente a rischio il paziente, preparando in tal modo il chirurgo alla sua risoluzione. Se l’applicazione di queste idee sarà relativamente semplice, grazie al mio coinvolgimento costante all’interno di corsi a livello internazionale, meno semplice sarà portare queste procedure nelle Università e nelle scuole di specializzazione. Questo sarebbe di certo un obiettivo più grande da raggiungere che potrebbe però trasformare concretamente la “ricerca scientifica” in “miglioramento degli standard medi di trattamento” e “maggiore sicurezza per il paziente”.