Caso Hospice, la fondatrice: "Troppe dichiarazioni, serve silenzio"

"A cosa serve questo insistente ricorso a dichiarazioni pubbliche? Serve progettare un futuro per questa struttura, in silenzio" ,le parole della dott.ssa Paola Serranò, fondatrice dell'Hospice

Dopo quasi otto anni dal mio forzato allontanamento dall’ Hospice, ho deciso di rompere il silenzio, per contribuire almeno in parte, a riportare l’attenzione sugli aspetti assistenziali peculiari delle cure palliative, tanto cari all’opinione pubblica.

I più anziani ricorderanno gli anni in cui l’idea progettuale, nata sin dal 1994, all’interno di un piccolo gruppo di operatori e volontari della sezione provinciale della Lega italiana per la lotta contro i tumori, si è incontrata con gli organizzatori della trasmissione televisiva ” 30 ore per la vita” ottenendo un contributo di circa 400 milioni di vecchie lire utilizzato per l’acquisto del terreno su cui l’ Hospice, sorge e per il completamento del progetto architettonico che l’Azienda sanitaria locale ha accolto e con ulteriore finanziamento ministeriale ha realizzato, inaugurando la struttura nel 2006.

E’ davvero apprezzabile osservare, l’ appassionata determinazione di tanti cittadini, associazioni, istituzioni, a difesa della struttura, contro la proposta di chiusura avanzata dalla Fondazione “ via delle stelle” che dal 2011 gestisce l’attività sanitaria presso il centro residenziale. La prima manifestazione di piazza a favore dell’ Hospice si tenne il 10 giugno del 2010.

L’Azienda sanitaria allora, non erogava nemmeno un euro per la sua gestione! Molto è cambiato da quella data ma ancora oggi, nonostante l’erogazione annuale di un milione e seicentocinquanta mila euro, si continua a manifestare per problematiche di carattere finanziario.

Non spetta a me, entrare in merito a questioni che competono alla Commissione Straordinaria, che ha il compito di governare un ente pubblico sciolto per infiltrazioni mafiose e che ha proposto il dissesto economico finanziario.

Nella mia veste di fondatrice dell’ Hospice e di consigliere comunale, desidero però esortare tutti al silenzio. Un silenzio che ci aiuti a riflettere, ad osservare, a comprendere, per poi sostenere la scelta migliore che possa consentire all’ Hospice di procedere serenamente nel suo progetto assistenziale di accompagnamento competente e compassionevole a chi ci precede nella dolorosa ma naturale esperienza del fine vita.

Un “silenzio operoso” dunque, come quello che se potessero, ci chiederebbero i tanti ospiti accolti nella struttura. Nelle scorse settimane è stata pronunciata centinaia di volte la parola” terminale”.

Un termine spregevole, che addolora e che nessun documento normativo più utilizza. Quante battaglie sono state combattute a Reggio come in altre parti del paese per cancellare questa parola “ terminalità”,che mortifica la dignità della persona morente.

Le cure palliative affermano soprattutto il valore della vita, sulla morte. I nostri pazienti che sono vivi sino all’ultimo istante, nell’umiltà in cui li ha precipitati la sofferenza, sono nostri maestri. E’ un privilegio più che un diritto lavorativo, accompagnare una persona nel momento culminante della sua vita ed entrare con lei in una dimensione intima e profonda.

Il “baccano” che si sta facendo anche se per molti con schietta coscienza, non consente più agli operatori nè ai familiari di stare accanto, prestando attenzione ai particolari, per il soddisfacimento pieno dei bisogni e della qualità di vita della persona assistita

L’Hospice di Reggio sin dalla sua nascita ha inteso promuovere tra gli operatori in servizio ed i volontari, atteggiamenti improntati all’ascolto attivo e premuroso della persona ammalata, esaltando il lavoro di squadra ed i valori culturali e spirituali rispetto alle stesse competenze tecniche possedute.

Progettare un piano di cura personalizzato sull’ammalato, significa uscire da sé Percepire i sentimenti del paziente e della sua famiglia in relazione alla paura della malattia, le loro aspettative ed i loro desideri.

Tutto ciò richiede silenzio.

A cosa serve dunque questo insistente ricorso a dichiarazioni pubbliche, all’istituzione di una commissione dei Rotary Club della Città Metropolitana, se non a correre il rischio di contribuire a creare confusione e a disperdere questi aspetti peculiari del progetto assistenziale che la struttura deve sempre ricercare, a inasprire la conflittualità tra gli operatori ed a mettere al primo posto la ricerca delle risorse finanziarie pur se legittime, al bene della persona ammalata?

Chiedo a chi sta offrendo il proprio contributo, indipendentemente dalla finalità che intendesse raggiungere, di non prevaricare. Ognuno ha un compito.

Chi non è direttamente coinvolto nell’ attività di verifica e di controllo, che abbia rispetto dei ruoli, capacità di comprendere i propri limiti, perché trattasi di materia sanitaria di livello specialistico, che manifesti senza ostentare sicurezza la propria disponibilità a difesa del progetto in sé, senza pretendere di avere in tasca la soluzione, senza biasimare.

Solo così la nostra città potrà ancora contare su una piccola luce, qual è e spero torni ad essere, l’Hospice, un modello organizzativo capace di restituire dignità alla sofferenza umana.

GRAZIE A TUTTI!
Dott.ssa Paola Serranò