C'era una volta a...Hollywood: anche Tarantino fa flop e tradisce sè stesso

*’Doppio Sogno’ è la rubrica cinematografica di Citynow. Le ultime novità in sala ma anche film recenti e del passato. La recensione dell'ultimo film di Quentin Tarantino

C’è sempre una prima volta. L’attesissimo nono film di Quentin Tarantino, C’era una volta a…Hollywood, è uscito in tutte le sale italiane lo scorso 18 settembre. Il regista statunitense, che ha giurato in più occasioni di volersi fermare dopo il decimo film, era reduce dal successo di The Hateful Eight, capolavoro che  lo aveva riportato ai suoi livelli più alti.

Gli ingredienti per mettere in scena un’opera memorabile, peraltro un’abitudine per Tarantino, c’erano tutti. Dal cast stellare (Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch, Dakota Fanning e Al Pacino in un cameo) all’epoca in cui è ambientato il film, la Los Angeles hippy e bohemien della ‘Summer of love’ nata a San Francisco.

La storia segue, in modo parallelo, due narrazioni differenti. Da una parte si seguono le vicende di Rick Dalton, un attore terrorizzato dalla possibilità di imboccare il viale del tramonto (Di Caprio) e la sua fedele controfigura Cliff Booth (Pitt), dall’altra quelle dei vicini di casa Roman Polanski e Sharon Tate (Robbie). A fare da fil rouge tra i due racconti, la famiglia Manson e l’ormai tristemente celebre notte del 9 agosto 1969, quella del massacro a Bel Air…

Tarantino mescola una storia di finzione con una reale, il frullato in quest’occasione è decisamente meno appetitoso di quello gustato da Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction. Probabilmente troppo appassionato e coinvolto nel voler raccontare quel preciso periodo storico, una Los Angeles microcosmo non solo cinematografico ma anche sociale e culturale, Tarantino (si tratta di un unicum nella sua carriera) finisce con lo smarrirsi. Sin dalle prime curve.

Gli unici guizzi del regista nato a Knoxville si trovano nei numerosi insert, omaggi a serie tv e film dell’epoca, e che mostrano la conoscenza onnivora di Tarantino in materia filmica. La raffinata colonna sonora (che alterna hits con brani semisconosciuti, rintracciati ascoltando ore di programmi radiofonici dell’epoca) si palesa vistosamente come l’elemento più Tarantiniano del film. Manca clamorosamente invece tutto il resto.

La sceneggiatura, da sempre tra i punti di forza del regista di Kill Bill, appare debole sin dalle prime inquadrature. La capacità di empatia nei confronti dei personaggi è sempre stata una delle cifre di Tarantino, assieme alla forza gravitazionale che faceva immergere lo spettatore nelle vicende narrate sul grande schermo grazie ad un’insuperabile messa in scena.

Elementi del tutto assenti nell’ultima opera, struttura attorcigliata e al contempo superficiale che si trascina stancamente tra citazioni, auto citazioni e omaggi (a partire dal titolo, per l’idolatrato Sergio Leone) che testimoniano ancora una volta l’immenso amore di Tarantino per il cinema ma che stavolta rimangono fini a sè stessi.

Tutti, o quasi, gli incipit dei film di Tarantino sono meravigliosi ‘pseudo cortometraggi’ che quasi basterebbero per racchiudere il suo talento. C’era una volta a…Hollywood fa eccezione, divincolandosi tra mille difficoltà in dialoghi inconcludenti. La parola ‘noia’, per la prima volta, fa sorprendentemente capolino durante la visione del nono lavoro del regista americano.

Probabilmente ‘abbagliato’ dalla forte volontà di raccontare in modo fedele ma comunque personale la Los Angeles di fine anni ’60, Tarantino tradisce sè stesso. C’era una volta a…Hollywood infatti appare come il lavoro più intimo e maturo del regista americano, ragioni che forse sono alla base di una freddezza estetica e narrativa che finisce con lo spolpare il film. Si tratta di una contraddizione in termini per Tarantino, con ogni probabilità il regista più ‘pieno’ degli ultimi 30 anni.

Nel finale torna il revisionismo storico già visto in Django e Bastardi senza gloria, è una dolce carezza nel pugno di quello che realmente accadde in quella notte.

Le sequenze che vedono Dalton\Di Caprio ‘ruggire’ e dare sfoggio delle sue abilità sul set dopo una crisi isterica, e il ritorno di Cliff Booth (Pitt) allo ‘Spahn Ranch’, vecchio set di film western riconvertito in un villaggio hippie dalla famiglia Manson, rappresentano i momenti in cui Tarantino si ricorda di essere tale.

Purtroppo però si tratta di stelle comete in un cielo vuoto.