Caso Ripepi, parla una donna della comunità: ‘Massimo, papà: all’inizio ne fui sorpresa...’

Una docente reggina spiega come funziona la comunità e quello che succede al suo interno

“Raccolgo l’invito di qualche giornalista che esortava chiunque avesse conoscenza di quanto accade nella comunità di Ripepi a denunciare. Ebbene voglio denunciare quanto visto, sentito, vissuto. Mi reco con una certa frequenza in questa comunità per aiutare nello studio alcuni giovani e quindi si, sono a conoscenza di come siano organizzati, su quello che fanno e come lo fanno, su come vivono e quali rapporti ci siano tra di loro.

La prima volta che mi recai in questo luogo, incontrai all’ingresso una donna molto distinta nel comportamento e nell’aspetto: Emilia. Indossava un camice bianco e una cuffietta da cuoca ed era intenta a preparare il pasto per 23 persone: tanti erano quel giorno gli ospiti che avevano richiesto di mangiare. Persone bisognose di cibo e di calore umano. Ero presente quando hanno servito i pasti.

C’erano diversi giovani ad aiutare e lo facevano con gioia e con rispetto anche se tanti ospiti erano in condizioni igieniche molto precarie. Era il lontano 2014.

Nel corso di questi anni ho visto frotte di bambini felici ed allegri giocare nel cortile della Comunità; ho visto giovani universitari e liceali, il sabato sera, consumare una pizza tutti insieme e divertirsi con semplicità. Ho visto gli adulti dare consigli a chi li richiedesse e ho visto Ripepi esortare i più giovani allo studio, all’impegno nel sociale, all’aiuto verso chi ne avesse bisogno. Il tutto improntato alla massima libertà e serenità.

Ho conosciuto docenti, avvocati, architetti che, dopo una giornata di duro lavoro si recavano e si recano tuttora in Comunità per dare il loro contributo in ogni attività: dalle più umili alle più  importanti: cucinare per la mensa, distribuzione derrate alimentari, protezione civile, progetti, formazione, ecc.

Certo, non  nascondo che mi sembrò strano sentire, che bambini, giovani e anche adulti chiamassero Ripepi, papà. All’inizio ne fui sorpresa e anche disorientata.

Poi chiesi una spiegazione proprio a quella donna che avevo incontrato qualche mese prima e che, da subito, mi aveva colpito per la sua bellezza esteriore ed interiore e lei, con grande semplicità, mi diede una risposta che mi fece  vergognare per il pensiero negativo che avevo (come tanti altri, credo) fatto. Mi disse:

“Voi cattolici chiamate i sacerdoti o ‘Don’  o ‘Padre’. A noi il don non piace e la parola Padre la usiamo solo per indicare Nostro Signore Gesù Cristo. Perciò lo chiamiamo papà. Si comporta con noi come un papà con i suoi figli. Ci è vicino nel dolore e nel bisogno. Condivide con noi tutto. Ci considera come la sua famiglia. E, come un papà, ci rimprovera se sbagliamo e ci loda quando facciamo il bene. Ci legge e ci spiega la Parola e ci invita a praticarla.”

Incuriosita ho presenziato a qualche culto e ho ascoltato commentare con semplicità brani delle Scritture ed  esortare gli astanti a praticare la Parola letta e spiegata. Eh si, anche il nome di satana è stato pronunciato.

Quando chiesi spiegazioni a Ripepi sulla espressione “Posseduto da satana“, mi spiegò che l’uomo, quale creatura di Dio, nasce buono e quando commette una brutta azione è satana che lo ha tentato (come tentò Gesù nel deserto) e  l’uomo spesso, per la sua fragilità, non riesce a resistere alla tentazione e quindi diventa preda.

Quasi una difesa del “peccatore” che non pecca perché cattivo, ma solo perché  fragile e non abbastanza forte da resistere alle lusinghe del peccato. E poi ho visto seduto accanto a Ripepi (alla sua festa di  compleanno) D.C. E non era certo una presenza “rassicurante” vuoi per l’odore di alcool, vuoi per l’abbigliamento, vuoi per i suoi modi poco ortodossi. Ma per Ripepi era importante la sua presenza, seduto al suo fianco perché un fratello bisognoso di affetto e di cure.

E poi ho visto Ripepi abbandonare  un’importante  riunione politica, per andare alla ricerca di T.S. un povero derelitto che nessuno aveva mai aiutato e al quale, oltre ai pasti, veniva garantito anche un tetto. E quando venne a sapere che non aveva dormito in Comunità non esitò un attimo ad andare a cercarlo. E quando lo ritrovò  e lo riportò  a casa lo vidi felice. Questo è quello che accade in questa Comunità.

Serenità, libertà, solidarietà sono le sue connotazioni. Una comunità nella quale si vive come in una grande famiglia. Ogni componente assolve ad un compito e ognuno, anche il più umile, è ritenuto importante e rispettato quanto il più  acculturato o il più alto professionista.

Ho fatto il mio dovere: ho denunciato ed invito tutti coloro che hanno voglia di spendersi per il prossimo di venire a conoscere questa bella realtà.

“Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio…”

Ho fatto la mia denuncia”.

Prof.ssa Docente Rosalba Scicchitano

DONNA CATTOLICA DI SINISTRA