Coronavirus e giustizia - Sferlazza a CityNow tra fase 2, processo smart e 'ndrangheta - VIDEO

E sulla scarcerazione dei boss il capo della Procura di Palmi dichiara: 'Valutare caso per caso'

I suoi progetti per il futuro la dicono lunga sulla sua persona. La passione per gli studi e l’amore per la cultura, hanno focalizzato dei nuovi obiettivi: iscriversi all’Università, alla facoltà di Filosofia, e continuare a parlare agli studenti di legalità, e non solo. Nei prossimi giorni è in programma un incontro con studenti liceali di Locri. Andare nelle scuole, per lui, è una “forma di militanza politica”, nell’accezione più nobile del termine politica, perché crede fermamente nella diffusione della cultura della legalità.

“Bisogna incominciare tra i banchi di scuola per fare interiorizzare ai ragazzi la cultura della legalità, perché decidano da che parte stare fin da piccoli”.

Ottavio Sferlazza, siciliano di Agrigento, Procuratore capo di Palmi dal maggio del 2015, non si tira mai indietro. In magistratura del 1977, tra Trapani, Caltanissetta, Reggio Calabria e appunto Palmi, è ormai prossimo alla pensione. Schivo per natura, è insolita la sua presenza ai microfoni di CityNow che lo ospita per la prima diretta della fase due del format “Io resto a casa”.

“Non amo il protagonismo, troverete poche mie interviste, tranne le conferenze stampa” dice sorridendo.

Alle sue spalle una foto evocativa. Gli splendidi sorrisi di Giovanni Falcome e Paolo Borsellino immortalati in quello che è ormai u simbolo della lotta a tutte le mafie.

“Nella mia lunga carriera ho conosciuto anche Giovanni Falcone, ma ho avuto il privilegio di aver lavorato fianco a fianco a Paolo Borsellino, per un mese, nel Luglio 1978. Lo considero un maestro di vita e di diritto. Io come quelli della mia generazione, abbiamo cercato di raccoglierne il testimone per cercare, nel suo ricordo, di fare al meglio il nostro dovere e di onorare questi nostri eroi civili. Un ricordo indissolubile. Per me è un piacere poter entrare nella stanza ogni mattina e guardare questa foto e il sorriso di Borsellino, che nel mio ricordo è ancora vivo”.

La Fase 2… della giustizia

“La fase 2 per la giustizia comincia il 12 maggio. Non cambierà tantissimo. Consisterà in una lenta progressiva e graduale ripresa di una maggiore presenza in ufficio, ma prevalentemente il lavoro agile rimarrà la modalità ordinaria di svolgimento del lavoro. Domani con il medico responsabile e il responsabile della sicurezza farò un sopralluogo in tutte le stanze del mio ufficio per verificare quali sono gli spazi che consentano la presenza di una, due o più persone ad una distanza di sicurezza. Le udienze ovviamente continuano con le stesse limitazioni, cioè la celebrazione dei processi sarà limitata a quella dei processi con detenuti e saranno processi in presenza”.

Ottavio Sferlazza ha una sua posizione in merito al dibattito in corso sul cosiddetto “Processo da remoto” e sul futuribile “Processo smart

“Mentre si è fatto largo uso del processo da remoto per convalide degli arresti anche con direttissima, perché l’indagato può essere sentito in un ufficio di polizia con l’assistenza del difensore, per quanto riguarda la fase dibattimentale in realtà l’ultimo decreto legge ha limitato la possibilità di tenere le udienze escludendo tutte quelle nelle quali bisogna sentire testimoni, periti, consulenti e interpreti, e ovviamente le parti, cioè l’interrogatorio dell’imputato. Come vede, si tratta sostanzialmente di attività processuali molto limitate, come un conferimento di un incarico, o un’udienza destinata alla risoluzione di questioni preliminari o all’emissione di ordinanze, ma laddove si tratta di udienza destinata ad una vera attività di istruttoria, cioè di acquisizione delle prove non sarà possibile ricorrere al processo da remoto. Ci sono state delle grosse resistenze da parte del foro che, devo dire non infondatamente, ha ritenuto che il processo da remoto, nella fase del dibattimento, comporti effettivamente delle limitazioni e una compressione dei diritti del contraddittorio per cui è una modalità che va limitata al massimo”.

Rispetto al Processo smart dice:

“Non ho mai demonizzato la tecnologia né gli attribuisco una funzione salvifica. Abbiamo una gravissima carenza di personale amministrativo che dobbiamo assolutamente colmare. La tecnologia può fare molto ma bisogna essere molto cauti. Io sono fermamente convinto che si possono smaterializzare gli atti ma non le persone. Voglio dire che la tecnologia può aiutarci e bisognerà implementarla per le notifiche, il deposito degli atti, per la trasmissione delle notizie di reato, ma quella che è la centralità del dibattimento laddove si realizza il contraddittorio e l’imputato ha il diritto di vedere in faccia il suo giudice e il giudice ha il diritto e il dovere di guardare in faccia l’imputato, questo deve essere salvaguardato. Credo che passato questo periodo drammatico bisognerà recuperare al massimo almeno per la fase dibattimentale la sua centralità e il principio del contraddittorio che significa presenza delle parti. La tecnologia non potrà sostituire al 100%, salvo che per aspetti marginali o per procedimenti dove non è in gioco come nella fase dibattimentale la libertà personale e il momento decisivo della verifica del materiale probatorio da parte di un giudice terzo e imparziale. È importante la presenza dell’imputato. Non farei della tecnologia una soluzione taumaturgica dei nostri problemi”.

Le mafie non conoscono crisi

Il Procuratore non ha riscontrato una riduzione sensibile dei reati, ma ci tiene a sottolineare che la criminalità organizzata, e in particolare la ‘ndrangheta, dispone di una tale liquidità che ha la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio questo momento di crisi. Un argomento molto delicato, che ha destato molta preoccupazione nei procuratori di Milano e Napoli.

“Credo che sia ormai acquisito alla coscienza collettiva oltre che essere stato dimostrato nei processi con i fatti che una delle caratteristiche principali della criminalità organizzata soprattutto di quella di tipo mafioso è la sua straordinaria duttilità e capacità di sapere approfittare di tutte le circostanze offerte dal mercato. Basti pensare alla capacità di inserirsi nella ricostruzione dopo i terremoti o all’expo di Milano facendo ricorso alla corruzione. Purtroppo in questo momento storico, c’è una straordinaria ambivalenza perché la mafia riesce a sfruttare i momenti di ordinario benessere ricorrendo all’estorsione, che è una forma di controllo del territorio. Ma in un momento come questo con le attività chiuse per due mesi chiedere il pizzo sarebbe improponibile. Ed ecco allora che ricorre ad un altro sistema che serve anche per fagocitare le imprese per poterle controllare: il ricorso all’usura. Quindi io spero che questi aiuti finanziari preannunciati e stanziati, e rispetto ai quali pare che si stiano registrando dei ritardi, possano essere accelerati quanto più possibile per sottrarre le attività economiche che sono maggiormente esposte all’attività predatoria delle organizzazioni mafiose di potersi sottrarre a questo grande pericolo”.

“Bisogna riconoscere che nonostante le grosse difficoltà di gestire un’emergenza sanitaria ma anche economico finanziaria devo dire che lo Stato ha fatto tutto quello che poteva fare, nonostante le nostre condizioni economiche non fossero molto floride per cui io confido anche su un aiuto significativo dell’Unione europea, se ancora ha un senso parlare di Unione europea, perché si venga incontro ad una economia che è al collasso e che potrebbe costituire poi fonte di gravissimi problemi non solo per la nostra economia che era già abbastanza in crisi anche per il debito pubblico, ma soprattutto per la presenza di una criminalità organizzata che non ha eguali in Europa”.
Sferlazza si mostra critico con la norma che non prevede alcuna tracciabilità degli aiuti finanziari, che in tal modo potrebbero finire nelle tasche di chi non avrebbe certamente diritto.
Un settore molto appetibile alle mafie è quello del turismo, certamente molto colpito dalla crisi.

“Non sappiamo quando ne usciremo, e non sappiamo che estate ci aspetta e in realtà questo è un settore che continuerà a soffrire. Spero di essere smentito. Ci siamo dati tempo fino al 31 luglio, vediamo che succede. Ma c’è un altro settore appetibile alle mafie, per esempio il settore delle forniture del materiale sanitario”.

Scarcerazione dei boss? Valutare caso per caso

“C’è stata polemica, ma anche una grande confusione. Credo che bisognerebbe avere l’onestà intellettuale e anche la prudenza prima di esprimere una valutazione, di leggere prima i singoli provvedimenti. Quello che mi sento di dire è che anche i detenuti, anche più pericolosi, sono titolari un diritto fondamentale che è quello alla salute. Bisogna tenere in considerazione il fatto che l’emergenza sanitaria è stata particolarmente avvertita negli istituti di pena, per cui i magistrati e i tribunali di sorveglianza si sono trovati a dover scarcerare quei soggetti che erano portatori di patologie particolarmente gravi e che in quanto tali erano esposti a un particolare pericolo di contagio, tenuto conto anche della promiscuità che fa parte purtroppo dei nostri istituti per il sovraffollamento delle carceri che è ben noto, ma ci sono molti detenuti che sono portatori di patologie. Io ho letto l’atto di scarcerazione di Zagaria. Un atto ben motivato in cui probabilmente c’è stato qualche ritardo del Dap, nel fornire l’indicazione circa gli istituti sanitari che potessero ospitare questo detenuto, ma in linea di massima non mi sentirei di gridare allo scandalo proprio perché viviamo in uno Stato di diritto e la pena non può essere considerata una vendetta. Poi, ripeto, bisogna valutare ogni singolo provvedimento, ma ritengo di poter presumere che i magistrati di sorveglianza abbiano saputo agire con cautela e con lungimiranza valutando e bilanciando i due principi fondamentali che sono la salute e la tutela della collettività”.

Gli amici Dino e Roberto

Rispetto alla nomina di Dino Petralia al Dap, Sferlazza affida ai suoi ricordi e trascorsi l’apprezzamento per l’ormai ex procuratore generale di Reggio Calabria:

“Sono legato a Dino da rapporti di stima e di affetto che risalgono all’inizio della nostra carriera, perché lui è di Trapani dove abbiamo iniziato la carriera. Ci unisce una comune esperienza purtroppo drammatica, perché da giovanissimi magistrati, abbiamo vissuto una stagione terribile, quella dell’omicidio di Giacomo Ciaccio Montalto che è stato un nostro comune amico oltre che collega del suo ufficio perché Montalto era sostituto della repubblica e io ero giudice istruttore. Abbiamo vissuto una stagione in cui hanno arrestato per corruzione un pubblico ministero ed è stata la stagione in cui, il 2 aprile del 1985, qualche mese prima che io lasciassi Trapani per trasferirmi a Caltanissetta, ci fu la strage di Pizzolungo in cui morirono le due gemelline Asta e la mamma. Quindi anche questi eventi particolarmente tragici ci hanno unito con Dino e hanno un po’ segnato nel bene e nel male la nostra vita. Però si tratta di eventi drammatici che ci hanno temprato e che ci hanno ancor più determinato nel fare al meglio il nostro dovere”.

Anche Roberto Di Bella rientra tra le amicizie care al Procuratore di Palmi.

“Roberto Di Bella, e anche la Procura presso il tribunale per i minorenni, con questa giurisprudenza che si badi bene ha utilizzato strumenti legislativi che erano già previsti nel nostro codice, ha reso un servizio alla collettività straordinario, perché si è risolta in un contrasto culturale alla organizzazione di tipo mafioso quale è la ‘ndrangheta, e soprattutto ha dato la possibilità a questi minori di potersi sottrarre a quello che fino a qualche anno fa poteva sembrare un destino ineluttabile, cioè quello di fare le stesse scelte criminali dei padri. Quindi non saremo mai abbastanza grati a Di Bella e a questa giurisprudenza che lui ha inaugurato, e che la criminalità organizzata io credo tema più della stessa confisca o del carcere: sottrarre i minori ma anche le donne ad un regime di vita insopportabile e intollerabile che significa obbedienza critica al marito- padre padrone significa mettere in crisi un modello culturale che è quello che ha consentito alla ndrangheta di potere prosperare e potersi perpetuare grazie allo stato di sottomissione di donne e figli. Aver aperto prospettiva di libertà, cioè il diritto di scegliere il proprio futuro, e soprattutto un diritto che è anche un dovere di dare ai propri figli un futuro diverso da quello che inesorabilmente sarebbe destinato ad essere, cioè fare la stessa fine dei padri”.

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