‘Doppio Sogno’ – Babel, Brad Pitt e lo smarrimento dell’anima
17 Dicembre 2017 - 19:03 | di Vincenzo Comi

Dopo Amores Perros e 21 grammi, Inarritu e Arriaga (regista e sceneggiatore) concludono la loro trilogia sulla morte, il destino, e il loro continuo intrecciarsi. In questo Babel (film del 2006) Inarritu sin dal titolo appare chiaro e sincero: qui infatti troviamo una moltitudine di luoghi, di facce, di vite ma soprattutto di lingue (c’è posto anche per quella dei segni).
Come nei 2 precedenti film, anche in questo rimane invariato lo schema di base, cioè varie trame di un racconto apparentemente diversificato ma in realtà tenuto insieme da un comune fil rouge che domina la pellicola.
Una coppia americana che va in viaggio in Marocco per cercare di riavvicinarsi dovrà fare i conti con le imprevedibili onde del destino.I figli della coppia americana, lasciati alla badante messicana, avranno anch’essi delle complicazioni. C’è spazio anche per una ragazza giapponese sordomuta alle prese con le turbe adolescenziali e con problemi familiari ampliati e infine una famiglia di contadini marocchini…..
Inarritu e Arriaga cercano, servendosi del solito ineluttabile destino capace di fare incontrare vite apparentemente diverse, di far trasparire “l’incomunicabilità” in tutte le sue forme, anche quelle intestine che appaiono le più insensate. In Babel le variegate difficoltà di comunicazione, soprattutto quella dell’anima, sono più che mai un problema esteso a tutte le latitudini e a tutti gli strati sociali senza eccezione alcuna.
Il principale problema della pellicola sono i vari collegamenti, eccessivamente forzati (specie quello giapponese legato agli altri in maniera approssimativa) e privi quindi di una fatalità “sincera”, un destino reale, cosa presente nei precedenti 2 film di Inarritu.
Inarritu dimostra di saper trattare con la stessa bravura sia una metropoli giapponese del terzo millennio che un villaggio marocchino che sembra essersi fermato al 1800 (servendosi di una fotografia leggermente saturata), passando per i confini che delimitano il Messico e l’America, con panoramiche che sfruttano al meglio paesaggi devastati ora dalla povertà, ora dal caos, oppure dai cambiamenti portati dalla società moderna post 11 settembre.
Convincenti le interpretazioni degli attori protagonisti, specie quella di Brad Pitt (tornato finalmente a misurarsi con un cinema più impegnato dopo anni in cui il suo meglio era da rintracciarsi nella facile leggerezza dei vari Ocean’s), e della domestica messicana Adriana Barraza, nominata agli Oscar come migliore Attrice non protagonista.
Se Amores Perros e 21 Grammi avevano colpito (seppur differenti tra loro) per una solidità strutturale messa al servizio di storie più disorientanti e tragicamente riuscite, la scrittura di Babel pare calcare eccessivamente la mano con i toni del drammatico.
Difficile ricomporre i vari pezzi del puzzle, quadro emotivo che manca della dovuta linearità. Si intravedono schegge di retorica che rischiano di allontanare Inarritu dai suoi esordi e avvicinarlo pericolosamente a Crash di Paul Haggis. Magnolia di P.T Anderson, per citare un esempio di film corale e strutturato in maniera non troppo difforme da Babel, possedeva un rigore decisamente superiore.
Se però Anderson aveva fatto della California un meraviglioso affresco dello scadimento morale e sentimentale, Inarritu ha provato a raccontare l’odierna babele, confusa e smarrita. Non per la diversità ma per la paura di non conoscere e conoscersi.
di Pasquale Romano – *’Doppio Sogno’ è la rubrica cinematografica di Citynow. Le ultime novità in sala ma anche film recenti e del passato, attori e registi che hanno fatto la storia del cinema. Racconti, recensioni, storie e riflessioni sulla Settima Arte.
