È calabrese il pino più antico d'Europa, il suo nome è "Italus"

Da 1230 anni l'albero 'Italus' osserva dall’alto la natura che cambia in Calabria

È in una località che per ora deve rimanere segreta, a pochi metri dal confine con la Basilicata. Si è rifugiato su una fascia rocciosa a quasi duemila metri di quota per sfuggire alla mano dell’uomo e vivere in santa pace per oltre un millennio. Siamo in Calabria, nel Parco nazionale del Pollino, una delle aree più incontaminate d’Europa e qui, da 1230 anni quest’albero ha osservato dall’alto la natura che cambia.

È  il pino loricato più antico d’Europa, scoperto dopo quattro anni di studio sul campo da Gianluca Piovesan, professore ordinario di scienze forestali all’Università della Tuscia che ha capitanato un gruppo di ricerca a cui hanno collaborato gli studiosi del Parco nazionale del Pollino e dell’Università del Salento.

“Lo abbiamo chiamato Italus in memoria del re di Enotria che governava questa regione a cavallo tra l’età del bronzo e quella del ferro – spiega Piovesan – Una delicata fase di passaggio dalla pastorizia nomade agli insediamenti agricoli”.

Questo highlander vegetale è alto più di dieci metri e con un diametro di 160 centimetri. Poco in confronto ad altri esemplari monumentali ma la sua età supera di quasi 200 anni il record di Adone, un pino della stessa specie scoperto nel 2016 da un team internazionale di scienziati nella regione del Pindo a confine tra Grecia, Albania e Macedonia. La ricerca su Italus sarà pubblicata nelle prossime settimane su Ecology, la prestigiosa rivista della Ecological Society of America.

Per datare Italus è stato necessario sperimentare un metodo innovativo che ha affiancato la conta degli anelli, che permettono di risalire all’età dell’albero, con l’analisi al radiocarbonio.

“L’albero ha un tronco cavo e non è stato possibile eseguire la classica ricerca dendrocronologica. – continua Piovesan –  In assenza del midollo, abbiamo prelevato otto campioni di legno dalle radici, del peso di qualche milligrammo, e seguendo la cronologia degli anelli presenti nell’apparato radicale dell’albero li abbiamo sottoposti alla datazione al radiocarbonio”.

Una volta entrato nell’acceleratore di particelle del Cedad, il Centro di fisica applicata, datazione e diagnostica dell’Università del Salento guidato da Lucio Calcagnile, Italus si è rivelato una miniera di informazioni.

“Abbiamo un testimone di quello che è avvenuto in quell’area negli ultimi 1300 anni. – spiega Gianluca Quarta, il fisico nucleare del Cedad che ha seguito i test – Grazie a questi campioni oggi possiamo ricostruire, per esempio, i diversi picchi dell’attività solare, un fenomeno che in questa regione non è mai stato studiato dal punto di vista cronologico”.

Italus, nonostante gli acciacchi dell’età, oggi ha ripreso a crescere.

“I fattori ambientali responsabili di questa risposta sono ancora in fase di studio ma questo comportamento non è sorprendente poiché negli alberi l’invecchiamento non è programmato come nel Dna umano e sono potenzialmente immortali” spiega Giuseppe Melfi, direttore del parco nazionale del Pollino. E pare che quest’albero sia parte di un’allegra brigata di vegliardi.

“Oltre a Italus riteniamo che in quest’area ci siano altri suoi fratelli millenari. – aggiunge Giuseppe De Vivo, responsabile delle attività scientifiche del Parco – È probabile che questi alberi si siano rifugiati sul promontorio del Pollino per sfuggire ai cambiamenti climatici e che si siano adattati a un’altitudine che sfiora i duemila metri grazie alle cosiddette piogge occulte generate in alta quota dalle nebbie e dovute dall’azione fisica delle correnti marine”.

“È sorprendente come in un territorio come quello italiano con paesaggi di antica trasformazione siano tuttavia rimasti tratti di natura praticamente selvaggia dove gli alberi seguono il loro ciclo naturale” aggiunge Piovesan che è ritornato su queste montagne a distanza di oltre un secolo dal suo bisnonno, reduce dell’assedio di Macallè che aveva trovato lavoro proprio sul Pollino come boscaiolo per l’industria ferroviaria. “Ambienti come le pinete rupestri di loricato o i boschi vetusti meritano una tutela particolare, – conclude l’autore della ricerca – poiché svolgono un ruolo insostituibile nella biologia della conservazione e quindi nello sviluppo sostenibile”.

Fonte: Repubblica.it