Attendiamoci Onlus: a Reggio il musical 'Pinocchio' e gli intrecci educativi

Un viaggio nell'umanità, di personaggi fantastici e non, di una storia intramontabile, illustrato da don Valerio

Chi ti muove i fili? Pinocchio è la storia di un burattino che vuole diventare uomo. Vuole tagliare i fili che lo costringono a muoversi come non vorrebbe. Vuole imparare la libertà e lo fa quasi sempre sbagliando: ora scappando, ora cedendo alle lusinghe di guadagni facili, ora capitolando alla fannulloneria e al divertimento smodato. La sua è una storia di intrecci tra buone e cattive compagnie. Impara gradualmente a fidarsi delle persone giuste… E quante sconfitte e delusioni!

Quella di Pinocchio è la storia di un figlio desiderato, di un giovane perso, di una coscienza ammutolita che grida fastidiosa, come fanno i grilli. È la storia di un figlio che scappa dal padre; di un padre che non smette di desiderare che il figlio diventi uomo e che, nonostante tutto, continua a cercarlo, anche quando questo significa perdersi in fondo al mare. È la storia di tanti personaggi umani e non, ma soprattutto – mi piace pensarlo – di tanti personaggi/insegnamenti in filigrana, ottimi compagni di un educatore. Tra questi: compassione; volontà; sofferenza; attesa; tentazione; rassegnazione; perdono. Sono alcuni insegnamenti di questa “favola” sempre contemporanea. E i nostri ragazzi, con i loro canti, le coreografie, le musiche, perfino le scenografie (e soprattutto con il tempo dedicato a costruire amicizie sincere), ce la raccontano dalla prima all’ultima scena.

Tutto nasce da un desiderio e poi ecco venir fuori – come per miracolo – il piccolo Pinocchio che “dà senso al tempo e forma alle ali della libertà”, come ogni dono, come ogni figlio. Ma questa, come ogni paternità, è una storia difficile, perché la libertà è una sfida difficile. Infatti “ci sono modi e regole che hanno tutti un lor perché che orienta il cuore”. Una paternità difficile in quanto incrocia la distrazione attraente dello spettacolo dei burattini, i gatti e le volpi di circostanza. Per grazia c’è anche il grillo parlante e soprattutto la Fatina, così dolce e severa, così sincera e amorevole. Lei non fa sconti, perché l’educazione alla libertà è cosa da fare con amore e l’amore a volte è severo, ed è sempre sincero.

Ma tra i mille personaggi, quali umani e quali animali – ce lo dicevamo – ci sono personaggi in filigrana. Tra questi la compassione, quella del grillo per la testa di legno di Pinocchio; quella di Mangiafuoco che starnutisce; quella che non si può non provare per Geppetto che “fa il povero per mestiere”. Quella per l’ingenuo Pinocchio, convinto che le cinque monete d’oro donate da Mangiafuoco possano moltiplicarsi senza sforzo… Come se i miracoli fossero questi!

Altro personaggio in filigrana è la volontà, a volte manca: così è per la volontà di studiare, per la volontà di avere regole e di prendere medicine amare. Così è per la volontà che dovrebbe volere, ma che a volte non vuole volere, specialmente quando c’è da impegnarsi per cose a lungo termine, o per mandare giù un po’ di amaro… E purtroppo di sovente per guarire bisogna mandare giù qualcosa di amaro. La vita lo vuole, perché la vita vuole cura. “Ci vuole cura, incondizionato amore, è nel riposo che puoi guarire”.

È il canto della Fatina: “perché mai solo sei”, specialmente quando “la vita vorrebbe fare vita a sé”; quando “ci si perde per strada”; “Se tu lo vuoi ti rialzerai”.  È la Fata a cantare: “quanto è bello vivere la nostra umanità e quanta bellezza si cela dietro la tua fatica”. Un canto che rianima la volontà di chi “ha più paura delle medicine che del male”. La Fata lo sa bene e lo accetta: prendersi cura, volere il bene e volere bene, può anche far male. Lei “muore di crepacuore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio”: dire “ti voglio bene” è correre il rischio di “farsi ferire”.

Anche il babbo alla ricerca di Pinocchio è lacerato da una ferita, in una notte che non trova alba. “Ti ritrovo perso”, canta. Quanti padri vogliono ritrovare i figli, correndo il rischio di ritrovarli persi. E, in fondo, Dio non è un Padre così? Pinocchio e Geppetto dialogano in questa ricerca spezzata, in questa ricerca perduta, in questo perdersi alla ricerca l’uno dell’altro:

“Io mi ritrovo perso, quanto è dura, dentro questa vita, star qua fuori. Quanto è dura essere padre per amore e con amore soffro per te”.

Ecco l’altro personaggio in filigrana la sofferenza. Direi la sofferenza educativa, quella che ogni educatore vive nel ritrovarsi alla ricerca di chi si è perso; nel ritrovare perso colui che si è smarrito; nell’accettare che l’altro ha la libertà di perdersi e di non farsi più trovare.

E ancora una volta, lungo questa ricerca, Pinocchio riconosce la Fatina. Lei è cresciuta è “più avanti” (l’etimologia del termine “anziano” è proprio questa: “più avanti”). Anche Pinocchio vorrebbe crescere, ma i burattini – si sa – rimangono sempre uguali, non crescono mai. Solo gli uomini crescono e bisogna saperlo meritare. Perché non si è uomini “per nascita”: lo si diventa per scelte ed impegno; per promesse mantenute; mano nella mano degli amici, accogliendo quel “sole che donerà la vita”, con “speranzosità”.

Un altro personaggio in filigrana compare timido: è l’attesa, quella che fa coppia con la speranza. A questa attesa la Lumaca educa Pinocchio. Perché ci vuole tempo per gli orizzonti della felicità, non è “il tutto e subito” del “campo dei miracoli”. Ci vuole tempo e costanza per i cambiamenti e un pizzico di amore. Nella vita – e Geppetto e la Fatina ce lo insegnano – bisogna saper attendere. L’attesa, nel senso di “tendere a” e di “impegno costante”, trasforma ogni burattino in uomo.

Lucignolo, però, come l’altro personaggio presente in filigrana – la tentazione – è sempre dietro l’angolo. E anche Pinocchio non sa resistere al richiamo del paese dei balocchi: lì non ci sono scuole, né maestri, né libri… lì le vacanze sono dodici mesi l’anno… il divertimento è bestiale!

Pinocchio cede, nonostante la Fata, perché Lucignolo ha argomenti più convincenti e la libertà rimane pur sempre una grande sfida. Ma alla fine vivere nel paese dei balocchi ci rende somari. Strana sorte quella di Pinocchio: da burattino a somaro. E si ritorna al circo… “era tutto una grande bugia”, quella col naso lungo e con le gambe corte.

Il somaro Pinocchio azzoppato ormai non serve più per lo spettacolo della umiliazione e così è gettato in mare per farne pelle da tamburo. Però non tutto il male viene per nuocere e l’asino ridiventa burattino e parla con il tonno nella pancia del pesce cane. Questa volta Pinocchio ha la meglio, scende fino in fondo, verso la timida lucerna e ritrova Geppetto. Per lui e con lui potrà tornare a galla. Comincia il faticoso viaggio verso la riva, perché non bisogna mai mollare quanto tutto sembra perduto!

Pinocchio lo ha insegnato al tonno, quindi lo ha imparato per sé. Tornato all’asciutto e a casa, non cade più nelle lusinghe del gatto e della volpe e comincia a lavorare. Manda il suo guadagno alla Fatina malata, rinunciando a qualcosa per sé.

E decide:

“Da oggi lavorerò cinque ore in più per aiutare anche la mia buona mamma”.

Ed ecco palesarsi l’altro personaggio reso finalmente evidente: il perdono. Ha attraversato tutta la storia, nella ricerca e nel silenzio accogliente del padre e, adesso, nelle parole della Fatina: “ti perdono, metti giudizio per l’avvenire e sarai felice”. Perché chi educa deve saper perdonare. E il perdono va sempre in coppia con la fiducia, mi piace chiamarla la “fede educativa”, quella che effonde novità: “lasciamo andare i desideri, quelli più impossibili e lontani. C’è una stella che ci ascolta in cielo, ci accolga lei, non è così lontana e davanti a lei con fede in cuor i desideri diverran realtà”.

Si chiude, così, questa storia intramontabile. I personaggi, e gli umani e gli animali, mascherano i personaggi meno palesi: la compassione; la volontà; la sofferenza; l’attesa; il perdono. E questi si smascherano nei tre grandi movimenti dell’educatore: credere, sperare, amare.

Credere che da una testa di legno può venir fuori un uomo; sperare di ritrovare colui che si è perso; amare nonostante tutto.

Personaggi interpretati da questi giovani, da padri, madri, anziani, amici, da buone compagnie che, nelle scelte della vita e nell’impegno del vivere, sono mani e braccia tese sulla via della educazione alla umanizzazione. In fondo Attendiamoci vuole essere questo: un ambiente di relazioni che tendono verso l’altro, che si impegnano per l’altro, che si fanno tenda per l’altro. Un ambiente educativo che è alternativa simpatica, impegnativa e felice al campo dei miracoli e al paese dei balocchi.

Ancora una volta i “nostri” ragazzi ci hanno saputo insegnare che, tagliati i fili delle nostre schiavitù, possiamo credere che si possa educare, senza rimanere presuntuose teste di legno; che bisogna provare e riprovare sperando che funzioni; che educare è prendersi cura, dare amore alla vita.

Grazie e sempre benvenuti!

Don Valerio