“Musikanten” – Lucio Battisti: c’è qualcosa che non scordo…


di Enzo Bollani – Parlare di Lucio Battisti, oggi, a 20 anni dalla sua scomparsa pressoché improvvisa, è come rispondere alle feste comandate: lo fanno tutti. Certo, non è che si voglia a tutti i costi vincere il premio per l’originalità, e nemmeno essere minuziosi come i completisti che, nel caso di Battisti, sanno persino quello che lui non sa di aver fatto.

L’unica certezza è che, fortunatamente, ci siano ancora loro, ma soprattutto quelli che cantano le sue canzoni così, come intercalare, sbagliando le parole. Sono loro i veri fautori dell’eternità alla quale, fin qui, Battisti si è consegnato. Qualcuno ha definito la collaborazione tra Mogol e Battisti come qualcosa di kitsch, per via della semplicità dei temi, degli scogli che non possono arginare il mare, et cetera.

Altri, invece, non sopportano probabilmente i cori russi ma, soprattutto, la collaborazione con Pasquale Panella, nata dopo l’unico disco firmato dalla moglie, Velezia (si dice in giro, comunque, che i testi se li sia scritti da solo). Primo tra tutti, contro la seconda fase, è Luzzatto Fegiz. In un suo spettacolo, molto bello, prende di mira un passaggio di “Fatti un pianto”.

Forse non ha tutti i torti, ma a Battisti piaceva la fuga. Voleva essere imprendibile, e ci è riuscito benissimo. Ha esagerato, però. Perché è successo che, alla fine, nessuno volesse più ascoltarlo. Soltanto i cosiddetti addetti ai lavori. Più cosiddetti che addetti.

Riascoltare dischi come “La Sposa Occidentale” è un po’ morire, perché i suoni sono superati in partenza, e il 1990 non offriva molto, visto l’eccesso di elettronica della seconda ora. Ora, quello che rimane è soltanto il lungo periodo con Mogol, e chi lo ama non può negare la verità. Chi scrive, conosce a memoria i testi sia di Velezia, alcuni dei quali sono molto belli, sia quelli di Panella, volutamente ermetici, alcune volte divertenti, altre volte eccessivi, nell’assecondare l’ossessione di esserci e non esserci, di quella fase della vita di Lucio Battisti.

Quello che pare incredibile, nonostante i veti assurdi di sua moglie, Grazia Letizia Veronese, e forse persino di suo figlio, illo tempore noto come Lu Scoppiato, quando suonava per i pub e giocava a nascondino, è che l’immagine di Battisti sia giunta intatta al 2018. Un giorno ne parlavo anche con la moglie di Franco Mussida, ed era d’accordo con me.

Se devo dirla tutta, visto che il Paradiso non è qui, vorrei che si mettessero d’accordo, una volta per tutte, Velezia e Mogol. Suona impossibile, ma non si può arginare il mare. Fin qui, Grazia Letizia Veronese, non ci è riuscita.

Eppure non dovrebbe scordarsi che, se sia nella posizione e nel ruolo in cui è, sia grazie all’essere stata segretaria di Adriano Celentano, a Mogol, a Luzzatto Fegiz, ai cambiamenti di idea di Renzo Arbore, che prima non voleva nemmeno passarlo e poi, l’anno dopo, lo osannava in studio, a Milano, a “Speciale per voi”.

Soprattutto, grazie a Christine Leroux, sua prima scopritrice, e al pubblico, che non lo ha mai tradito. Nonostante sia stato tradito, per certi versi. Chissà se Battisti volesse tornare…

Si dice anche questo, ma non lo sapremo mai.

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