Musikanten - Sanremo, Mia Martini e il viscido mondo dello spettacolo

Musikanten speciale Sanremo. Il ricordo di Mia Martini e il vergognoso trattamento ricevuto dai colleghi

Al 55esimo Festival, Antonella Ruggiero portò “Echi d’Infinito”, scritta per lei dal nostro dirimpettaio Mario Venuti.
Quest’anno, invece, si può parlare di echi di shintoismo, dato il continuo rivolgersi a persone che non possono più parlare.

Dopo la meritatissima standing ovation dedicata a Loredana Bertè, che corre nella stessa gara di tutti gli altri, ma a un livello superiore al più super dei superospiti possibili, ieri si è toccata una corda stonata, tra le tante, nella Storia del Festival.
Parlo, naturalmente, di Mia Martini, al secolo Domenica Bertè, nata lo stesso giorno in cui è nata Loredana.

Fa piacere, da un lato, vedere rivalutare un’artista il cui potenziale era mondiale, tanto da indurla a cambiare il cognome in Martini.
Ma fa male, molto male, sapere quel poco che ci è dato sapere, su quello che ha dovuto passare.

Avendo lavorato per più di Dieci anni con Lucio Dalla, conosco molti nomi e cognomi di quegli animali che le hanno cucito addosso la nomea di iettatrice, e so anche che, molti di loro, hanno cambiato fazione, quando Mimì se ne è andata.

Loredana stessa me ne parlò a lungo, quando uscì da Music Farm e mi telefonava, nel cuore della notte, per raccontarmi le sue storie, in una disperazione che però non è mai stata disperazione. Fatico a darle un nome, ma Loredana ha dimostrato a tutti quanto sia Donna, Artista e persona di sensibilità rara.
La stessa personalità che ha nel privato.

Anche a lei, nulla è stato risparmiato.
Ma vorrei sapere come mai, Baglioni come lo stesso Dalla, non abbiano fatto qualcosa per Mia Martini, quando le era proibito cantare, quando doveva pagare per cantare, quando fu ostacolata in modo criminale.
Perché i metodi sono quelli, e confermano quanto l’ambiente della Musica sia mafioso.

Allora, come oggi.
“Un ambiente di merda”, come dice il mio amico Toto Cutugno, che peraltro non stava simpatico a Mimì, nonostante fosse uno dei pochi a non sparlare.

Spiace molto vedere che sia solo un’interprete a reinterpretare lei, quando sarebbe bastato proiettare anche soltanto un passaggio di 30 secondi, di quel Sanremo ’89, dove cantò “Almeno tu nell’Universo”.

Ci si è messo dentro persino Baglioni, a mettere una A al posto sbagliato, rompendo la rima, rovinando il testo.
Baglioni, se dev’essere direttore artistico, la smetta di cantare ogni 2 secondi.

Perché allora, visto che ci sono anche i suoi dischi riproposti in edicola, e che approfitta continuamente per lanciarci in faccia il suo repertorio o rovinare la musica di Pino Donaggio, eviti di farsi dare un cachet e si sistemi con Salzano e la SIAE, che pagherà profumatamente ogni maglietta fina, ogni accoccolamento molesto, ogni accenno di concerto.

A 70 anni e passa, com se dis a Milan, fa ridere mettersi a duettare con Fabio Rovazzi.
Ridateci Gianni Morandi, che sa condurre, organizzare (da buon bolognese) e non prevaricare o esondare sul palco.
Con tutta la stima per Baglioni, vera e non ipocrita come quella che sostiene Salvini, ci si domanda dove siano gli autori.
E a cosa servano.

Fabio Rovazzi si è comportato da vero signore, stando al gioco, dettandone le regole in poche mosse e risvegliando la situazione, in un momento di noia mortale.

Si è congedato salutando suo padre, che non poteva essere in prima fila, celando la sofferenza dietro a un eloquio da copione, forse indotto dagli autori stessi, o forse no.

In ogni caso, mai come in questo Festival ci si è rivolti a chi non c’è più, e a chi non avrà mai giustizia.
Ogni volta, a Sanremo, le scuse sono una scusa per istituire un nuovo premio: Premio Mia Martini; Premio Tenco.

E sono solo i casi più eclatanti.