Stordito e dato alle fiamme nella sua auto: chiuse le indagini sull'omicidio di Vincenzo Cordì

A tradire i presunti responsabili è stata la tecnologia, ma anche un accendino antivento e un capello troppo lungo per essere della vittima

Un accendino antivento e un capello troppo lungo per appartenere alla vittima. E poi l’occhio indiscreto delle telecamere di sorveglianza da seguire passo passo come le briciole di Pollicino, e le celle telefoniche che si agganciano a telefonini da cui nessuno degli indagati si separa mai. Un’indagine che venti anni fa sarebbe stata difficile anche solo da immaginare e che invece i carabinieri di Roccella hanno risolto in meno di tre mesi, con l’arresto dei tre presunti responsabili dell’omicidio di Vincenzo Cordì, cameriere quarantunenne di Gioiosa Marina, stordito e dato alle fiamme all’interno della sua auto in una notte di novembre del 2019. Un’indagine complicata che la Procura di Locri ha chiuso nei giorni scorsi, in attesa della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Susanna Brescia, Giuseppe Menniti e Giuseppe e Francesco Sfara.

UNA STORIA SBAGLIATA

Un intreccio di storie accartocciate che sembra scritto dagli sceneggiatori di una soap scadente: umanità che si sbriciolano di fronte alle necessità di troncare un rapporto ormai finito, mani che si armano, piani maccheronici per depistare gli investigatori, tracce lasciate ovunque. Quella dell’omicidio di Vincenzo Cordì è una storia tremenda, pensata, scritta e messa in opera, ipotizzano gli inquirenti, dalla compagna della vittima, dai due figli poco più che maggiorenni di lei, e dall’amante della donna.

CADAVERE CARBONIZZATO

Fece molto scalpore nel novembre del 2019 il ritrovamento del corpo carbonizzato di Cordì: l’uomo – un ragazzo normale, padre di una coppia di gemelli e cameriere in tanti ristoranti della costa dei Gelsomini – fu stordito con un colpo in testa e poi cosparso di benzina e bruciato all’interno della sua utilitaria. Quello che restava del suo corpo fu ritrovato da un gruppo di cacciatori alla “Scialata”, nelle campagne di San Giovanni di Gerace due giorni dopo la scomparsa. Archiviata la pista legata al crimine organizzato, le indagini dei carabinieri svoltarono quasi immediatamente sul versante della vita privata della vittima.

CSI LOCRIDE

A inchiodare i presunti colpevoli di questo “omicidio senza pretese”, le tante tracce informatiche lasciate alle loro spalle. A cominciare dai loro cellulari, che si agganciano alle celle telefoniche nel luogo dell’omicidio, all’ora dell’omicidio e che, nonostante i tentativi di ripulitura, mostrano contatti frenetici nei minuti precedenti e successivi alla morte di Cordì. E poi le telecamere a circuito chiuso che i carabinieri hanno spulciato una ad una, ricostruendo il percorso di vittima e carnefici, dal cancello di casa fino alle campagne che si inerpicano sulla Limina, passando per il distributore di benzina di Marina dove Menniti si sarebbe fermato per riempire la tanica di benzina necessaria al rogo. E poi gli screenshot del cellulare che gli indagati non avevano cancellato dai loro telefonini e che hanno aiutati gli inquirenti a ricostruire il giro di bugie e sotterfugi che gli indagati avevano messo in atto nel tentativo di indirizzare le indagini verso l’ipotesi del suicidio. Fino al dna della Brescia trovato sull’accendino antivento usato per bruciare il corpo del suo compagno, per un’indagine degna di una puntata di Csi.

IL PRECEDENTE

Nel decreto di fine indagine sulla morte del cameriere di Marina di Gioiosa, il pm locrese Marzia Currao ha inserito poi un’altra storia tremenda che confermerebbe la “tensione” tra Susanna Brescia e il suo defunto compagno. Nel 2016 infatti, la donna avrebbe somministrato a Cordì una forte dose di benzodiazepine, provocando un incidente automobilistico che solo per puro caso non gli era costato la vita.