Omicidio Vinci, quando una vita vale quanto uno "sconto" su un debito

I presunti killer e i mandanti erano legati da interessi legati al mondo della droga

Era stato tutto preparato nei minimi dettagli: il furto della polvere contenuta nei fuochi pirotecnici, il tentato alibi in favore di telecamera di uno dei presunti mandanti, e le modalità di esecuzione di uno degli omicidi più eclatanti degli ultimi anni. Una violenza inaudita, per rimarcare – ha sottolineato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – la potenza della famiglia mafiosa all’interno del proprio territorio. Un omicidio che ha scosso nel profondo l’intera provincia di Vibo a causa della violenta spettacolarità con cui è stato messo in opera e che avrebbe avuto anche il placet del vecchio capo “zi Ntoni” Mancuso, a cui gli organizzatori del delitto – già arrestati nei mesi scorsi su richiesta della distrettuale di Catanzaro – si sarebbero rivolti per ottenere il permesso all’operazione. Un omicidio che si intreccia ad un fiorente traffico di droga che vede coinvolti anche due indagati di Rosarno e che, sottolinea il gip nell’ordinanza, arriva come apice ad una strategia intimidatoria che era iniziata diversi anni prima.

AL CENTRO DEL MIRINO

Nel paradossale mondo del crimine calabrese, un pezzetto di terra dallo scarso valore commerciale può pesare quanto due vite umane, che possono essere “sistemate” al costo quasi irrisorio di uno sconto sugli interessi per un prestito pendente. Una storia assurda di assurda sopraffazione quella che ha portato alla morte di Alessio Vinci, giovane professionista rimasto stritolato da un gruppo capace di tutto pur di ottenere quanto voluto. La famiglia Vinci però, alle logiche surreali del crimine organizzato calabrese, non si è mai piegata, resistendo a fatica ad un’oppressione costante e feroce che è andata via via peggiorando con il tempo. E se le intimidazioni legate alle pretese sulla terra e alle richieste estorsive risalgono al 2014, negli anni successivi si erano accumulati episodi di pascolo abusivo, danneggiamenti e sversamenti sui terreni dei Vinci. Uno stillicidio continuo, una escalation esponenziale passata attraverso un’aggressione violentissima a Francesco Vinci nel 2017 e culminata con l’autobomba che nell’aprile del 2018 esplose uccidendo il giovane Alessio e lasciando gravemente ferito suo padre Francesco che si salvò solo grazie al fatto di essere riuscito a tirarsi fuori dall’auto ormai in fiamme.

L’AUTOBOMBA

Sono Antonio Criniti e Filippo De Marco i presunti autori materiali del delitto di Alessio Vinci. Sono loro, sostengono gli investigatori del Ros centrale e dei carabinieri di Vibo a preparare l’ordigno artigianale utilizzando detonatori e polvere da sparo probabilmente rubati all’interno di un deposito di Soriano (paese in cui vivono entrambi gli indagati) dove erano stati stipati in seguito ad un sequestro. E sarebbero stati sempre loro due a piazzare e a fare esplodere la bomba sulla Fiesta di Vinci. Un “lavoretto” che sarebbe stato pagato ai due presunti killer, scontando loro gli interessi sul capitale relativi a un debito, derivante dal vorticoso giro di cocaina che il gruppo era in grado di gestire, che Criniti e De Marco avrebbero contratto con Vito Barbara. A inchiodare i presunti autori dell’omicidio ci sono diverse intercettazioni telefoniche piuttosto esplicite tra gli indagati – «ci fottono tutti quanti» dice al padre un preoccupatissimo Barbara al momento dell’arresto di Criniti e De Marco, scovati con un carico di 4 chili di droga – e i tracciamenti dei cellulari che indicano la presenza dei due nelle vicinanze del luogo dell’agguato, proprio nei momenti immediatamente precedenti all’esplosione.