La Pasqua dolceamara dei reggini, tra famiglie riunite e cuori lontani

La speranza, forse utopistica, è che un giorno far ritorno a "casa" diventi un po' meno faticoso, quasi normale

Non è tutto rose e fiori, lo sanno bene i reggini sparsi nel mondo che, per un motivo o l’altro hanno lasciato la loro terra di origine. C’è chi, ancora, vi fa ogni tanto ritorno, chi ha smesso, chi vorrebbe farlo di più.

Le festività pasquali, così come le ferie estive e le vacanze di Natale, sono sempre un po’ gioia e dolore. La felicità di chi è riuscito a riabbracciare amici e parenti fa a pugni con chi, invece, è rimasto oltre i suoi confini.

La Pasqua dolceamara dei reggini

“Mamma, Papà non scendo a Pasqua. Forse ci vediamo in estate”.

È una fra le frasi più gettonate che, di certo, molti hanno sentito o sono stati costretti a dire.

Pur essendo, nel senso religioso del termine, il momento della resurrezione, Pasqua crea sempre un velo di nostalgia in chi si prepara a vivere momenti di convivialità con le persone care. Anche nelle famiglie, o nei gruppi di amici, manca sempre qualcuno all’appello. Impossibile non dedicare un pensiero a chi, purtroppo, non c’è più e chi, invece, non è riuscito a far ritorno a Reggio Calabria, neanche per pochi giorni.

Al contempo, però, c’è l’ineguagliabile felicità di chi, dopo innumerevoli pranzi e cene in solitaria, può finalmente godere della compagnia degli affetti più cari e delle abbuffatte reggine tipiche del periodo pasquale.

Per fortuna, la tecnologia ha reso la lontananza più sopportabile e più nessuno si stupisce se a tavola, magari al momento del dolce e del caffè spunta qualche smartphone per una videochiamata di gruppo. In questo modo anche i cuori lontani possono prender parte alla gioia di una famiglia riunita.

I collegamenti da e per Reggio, pochi ed a prezzi tutt’altro che economici, non fanno che aggiungere sale alla ferita permanente di chi è lontano. Un dolore che diviene sempre più acuto ad ogni occasione persa, un compleanno, una comunione, una laurea e così via. La speranza, forse utopistica, forse no, è quella che, un giorno, far ritorno a casa diventi un po’ meno faticoso, quasi normale.