Piano per il Sud, in dieci anni il Mezzogiorno ha perso 11 miliardi di investimenti

Il Ministro Provenzano spiega la vera novità: “Cambia il metodo. Sarà cooperazione rafforzata con le amministrazioni locali”

“Investire al Sud significa pensare all’Italia di domani”. È questa l’idea di fondo del “Piano per il Sud 2030” presentato la scorsa settimana a Gioia Tauro dal premier Giuseppe Conte, insieme ai ministri per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, e alla Istruzione, Lucia Azzolina. Un Piano contenuto in 55 slide che danno l’idea di un impegno consistente che però deve trovare applicazione concreta se non si vuole ripetere gli errori del passato. D’altra parte i dati sono impietosi. Basti pensare che nel decennio tra il 2008 e il 2018 la spesa per gli investimenti ordinari della Pubblica amministrazione nel Mezzogiorno si è più che dimezzata passando dai 21 miliardi del 2008 ai 10,3 di dieci anni dopo. Il tutto mentre esplodeva con forza una nuova emergenza, rappresentata dall’ondata inarrestabile dell’emigrazione dal Sud che, in tre lustri dal 2002 al 2017, ha perso oltre 612 mila giovani, di cui 240 mila laureati.

Il Governo fa leva su l’interdipendenza tra Nord e Sud. Anche perché – si legge nelle slide – il progressivo disinvestimento al Sud ha indebolito anche il Nord che indietreggia in Europa: “Bisogna riaccendere il motore interno dello sviluppo nazionale, riattivare l’interdipendenza tra Nord e Sud. Perché ogni eurom investito in opere pubbliche al Sud attiva 0,4 euro di domanda di beni e servizi nel Centro-Nord”. Insomma, prendendo a prestito il rapporto della Banca d’Italia, un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1% del suo Pil per un decennio, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana.

L’obiettivo del governo sarà quindi quello di ridurre il divario tra cittadini e territori, recuperando credibilità e fiducia nelle politiche di sviluppo e coesione, anche perché a Palazzo Chigi sono convinti del fatto che la spesa dei Fondi strutturali debba migliorare, ma anche del fatto che da sola non può certo bastare.

“Il disincanto di tanti è pure giustificato, perché da troppi anni si parla del Sud e non si interviene mai. Ormai c’è l’idea che qualsiasi intervento al Sud sia destinato allo spreco o peggio al malaffare. Così non è, ma da parte delle istituzioni c’è bisogno di dire qual è la vera discontinuità”.

Così il ministro Provenzano, stamane a Rtl 102.5, ha provato a spiegare la ratio dell’intervento. Una discontinuità, ha spiegato il ministro che non è tanto rappresentata da alcune scelte che pure sono state fatte nel Piano e non erano scontate, come gli investimenti nella scuola e nell’ambiente.

“La vera novità – ha sottolineato Provenzano – è sul metodo. Noi proponiamo un ruolo più forte delle istituzioni centrali che si assumono la responsabilità di intervenire qualora anche le amministrazioni locali e regionali non lo fanno. Ma non con uno spirito di sostituzione, ma mettendosi al servizio. Abbiamo inaugurato un metodo che si chiama di cooperazione rafforzata in cui, ad esempio, l’Agenzia della coesione territoriale che è sotto il mio ministero, si mettano al servizio degli enti locali accompagnandoli nell’investimento dal momento della progettazione fino alla realizzazione degli interventi”.

Per il ministro, d’altra parte, il problema non è mai stato quello di stanziare risorse, che si trovano, ma “spenderle e spenderle bene”. Per Provenzano l’amministrazione pubblica ha perso capacità progettuale.

“Abbiamo istituito un fondo per la progettazione e poi questa Agenzia deve tornare a sporcarsi le scarpe, cioè andare in giro sui territori nelle amministrazioni locali e non stare sempre a Roma per rendicontare le risorse europee che sono pure importanti e utilissime. Insomma, per superare lo scetticismo le persone hanno bisogno di vedere cambiamenti reali”.