Reggio, la lettera di una volontaria: ‘I volti di Arghillà nord, tra amarezza e speranza’
"Dietro a questo scempio si nascondono vite di cui, una volta conosciute a fondo, non si riesce a farne a meno" così l'ex operatrice sociale
21 Luglio 2024 - 15:31 | Redazione

Riceviamo e pubblichiamo la lettera con le riflessioni sul quartiere Arghillà di Cristina Delfino, una volontaria ed ex operatrice sociale.
Scrive nella sua lettera la signora Delfino:
“Ai più sembrerà un paradosso. Esiste un luogo in cui cerco rifugio quando pensieri distruttivi mi affliggono e quel posto è Arghillà nord. Di questa zona del quartiere a nord della città di Reggio Calabria si è scritto tanto, a volte in maniera impietosa. A colpo d’occhio colpiscono i cumuli di rifiuti, le palazzine di alloggi popolari decadenti, gli scheletri di automobili bruciate. Eppure dietro a questo scempio, si nascondono vite di cui, una volta conosciute a fondo, non si riesce a farne a meno“.
Prosegue la lettera:
“Con questa frase che apparirà stucchevole ai benpensanti, non si vuole negare la presenza di criminalità, dispersione scolastica e tossicodipendenze, i cui dati sono tutti da scoprire, non essendoci studi in merito. Negli anni, sotto diverse vesti, ad Arghillà ho avuto la fortuna di conoscere la resistenza di persone, di adulti e minori, che sono state relegate ai margini dal culto della competitività, senza però riuscire a perdere la consapevolezza che un’altra umanità è possibile e che la vita scorre comunque, senza troppi fronzoli e dilemmi. Quanto cambia la prospettiva delle persone quando si dà loro fiducia, quando si ascoltano parole di conforto prive di giudizio, quando si prova a cercare insieme una via di uscita possibile e la reciprocità senza gerarchie offre l’occasione di arricchimento, dimenticando titoli di studio e ruoli sociali!
Spiega la signora Delfino:
“Non sempre è stato possibile vedere una luce in fondo al tunnel, tra difficoltà nella regolarizzazione della casa abitata da anni, tra debiti, drammi familiari, scarsità di opportunità lavorative e sfiducia nelle proprie capacità di apprendimento e nella possibilità di accesso alla formazione. Soprattutto quando il contesto di povertà, in ottica multidimensionale, non offre la possibilità di confronto con altre visioni e prospettive di vita. Anche noi, attivisti e attiviste, volontari e volontarie, operatori e operatrici abbiamo lasciato che la brutalità, fatta di roghi tossici, incomprensione, violenza e solitudine, abbia la meglio, perché spesso siamo stati più interessati alla nostra autocelebrazione piuttosto che all’efficacia delle nostre azioni e rivendicazioni. Forse per paura di perdere credibilità davanti alle istituzioni che spesso ci esaltano o mortificano sulla base di quanto siamo affini al loro autocompiacimento.
Conclude con questa riflessione la signora Cristina Delfino:
“Se davvero si ha cuore la sorte dei minori di Arghillà, come si dovrebbe avere a cuore quella di ogni bambino e bambina, secondo quanto affermato dall’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’ adolescenza, forse potremmo cominciare a riflettere in un’ottica di cooperazione, senza presunzione né ingenuità. Nessuno, né all’interno del Terzo settore né tra le Istituzioni, vincerà alcun premio o avrà alcuna onorificenza ma in palio c’è qualcosa di più importante a cui ogni essere umano dovrebbe poter aspirare: la possibilità di vivere una vita in cui sia valorizzato il nostro perché in questo mondo”.