Rinascita-Scott: nuove carte negli atti del maxi-processo. Depositati i verbali di Petrini

Confluite nel procedimento nuove carte che pesano

Neanche il tempo di risolvere le tante eccezioni preliminari venute fuori nei primi giorni del maxi processo Rinascita-Scott contro le cosche del vibonese, che la procura di Catanzaro inizia a muovere le sue carte.

E sono carte che pesano. I magistrati della distrettuale antimafia del capoluogo guidati da Nicola Gratteri hanno infatti depositato a dibattimento i fascicoli provenienti da Salerno (competente territorialmente sulle notizie di reato che riguardano i magistrati del distretto di Catanzaro) che riguardano l’indagato eccellente Giancarlo Pittelli, avvocato notissimo e più volte parlamentare. Una mossa a cui si è aggiunta la notizia che altri due personaggi “di peso” del malaffare vibonese avrebbero saltato il fosso, cominciando a raccontare agli inquirenti le dinamiche delle cosche in una delle zone più complicate del Paese.

I VERBALI DEL GIUDICE

Confluiscono quindi nel procedimento, i verbali del giudice Marco Petrini ex presidente di corte D’appello a Catanzaro, finito agli arresti su input della procura di Salerno per corruzione in atti giudiziari.

Petrini aveva iniziato a collaborare con i magistrati campani e nel corso di due distinti interrogatori nel mese di febbraio aveva raccontato dei suoi rapporti con Pittelli: secondo quelle dichiarazioni entrambi avrebbero fatto parte di una loggia massonica coperta in grado di estendere i propri interessi a più livelli nella società calabrese. Petrini aveva poi raccontato di una serie di processi che erano stati in qualche modo manipolati. Dichiarazioni esplosive che però, a distanza di una manciata di mesi, vennero clamorosamente ritrattate dallo stesso ex giudice nel corso di un nuovo interrogatorio sempre davanti ai magistrati salernitani. In quell’occasione Petrini aveva smontato le sue precedenti dichiarazioni che riguardavano politici, magistrati e avvocati: lo stesso Petrini racconterà in aula, durante il processo in abbreviato che lo vede alla sbarra per corruzione in atti giudiziari, di come durante gli interrogatori di febbraio fosse ancora così scosso dall’arresto da avere avuto una forte confusione che gli aveva alterato i ricordi. Una storia complessa, giocata sul filo, e che finirà per diventare centrale nel corso del maxi processo che per qualche tempo ancora si celebrerà nell’aula presa in prestito dal carcere romano di Rebibbia.

I NUOVI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA

A rinvigorire le carte dell’accusa poi ci sono le nuove collaborazioni di Michele Camillò e Antonio Cannatà, esponenti della locale di Vibo: entrambi con un passato nelle prime file del clan, Camillò si era fatti “un nome” anche grazie alla sua abilità di bruciare le auto di chi, secondo le regole del clan, andava punito. Era lui, racconta un altro collaboratore di giustizia sentito dalla distrettuale di Catanzaro, che si occupava di mettere in pratica ripicche e intimidazioni nel feudo di competenza del clan. Più legata al mondo dell’usura e dei prestiti a strozzo la figura di Cannatà.

Le loro dichiarazioni fanno parte ora del processo alle cosche vibonesi, a completare il quadro d’insieme costruito passo a passo, minuziosamente, dai magistrati di Catanzaro.