Salute mentale, cosa si intende per psicosi e 'fenomeno psicotico'

L'approfondimento della dott.ssa psichiatra Fiammetta Iannuzzo dell'istituto di Neuroscienze di Reggio Calabria

Il termine psicosi fu coniato da Feuchtersleben (1845) con lo scopo di indicare una malattia della psiche derivante da alterazioni organiche.

Tale concettualizzazione ha tracciato un trait d’union fra mente e corpo e si è inserita all’interno dell’annoso dibattito culturale fra chi sosteneva che i disturbi psicotici avevano un’origine organica e chi sosteneva invece una loro origine psicologica.

Oggi sappiamo bene quanto la psicosi sia determinata in larga parte da alterazioni neurobiologiche correlate a meccanismi genetici; tuttavia, il soggetto psicotico è da comprendere sempre nella sua complessità dinamica, ove fattori genetici e ambientali contribuiscono allo sviluppo di una patologia altamente complessa e invalidante (multifattorialità del disturbo mentale).
Il fulcro della gravità del fenomeno psicotico si ritrova nella perdita di contatto con la realtà, che determina la gravità dei sintomi tipici delle malattie mentali di cui la psicosi può essere manifestazione primaria o secondaria.
Sebbene si possano incontrare manifestazioni psicotiche in qualsiasi tipo di disturbo mentale, le stesse sono espressioni fenomeniche necessarie per definire quei disturbi detti “dello spettro psicotico” di cui fa parte, ad esempio, la schizofrenia.

Da un punto di vista puramente clinico la psicosi è caratterizzata da un quadro psicopatologico connotato dalla compromissione dei seguenti fattori:

  1. Capacità di giudizio e dell’esame di realtà
  2. Comunicazione
  3. Risposta emotivo-affettiva

Questa condizione comporta dunque la presenza di disturbi del contenuto del pensiero (deliri), di alterazioni della senso-percezione (allucinazioni), di alterazioni comportamentali (disorganizzazione comportamentale) e di sintomi che hanno a che fare con la sfera affettiva (coartazione, apatia, anedonia).Il DSM 5-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, text revision 2022), nella sezione “Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici”, propone la seguente classificazione dei disturbi psicotici:

  • Disturbo schizotipico (di personalità)
  • Disturbo delirante
  • Disturbo psicotico breve
  • Disturbo schizofreniforme
  • Schizofrenia
  • Disturbo schizoaffettivo
  • Disturbo psicotico indotto da sostanze/farmaci
  • Disturbo psicotico dovuto ad altra condizione medica
  • Catatonia – non indicata come una classe specifica ma riconosciuta come:
    a) Catatonia associata ad un altro disturbo mentale (specificatore della catatonia)
    b) Disturbo catatonico dovuto ad altra condizione medica
    c) Catatonia senza specificazione
  • Disturbo dello spettro della schizofrenia con altra specificazione ed altri disturbi psicotici
  • Disturbo dello spettro della schizofrenia ed altri disturbi psicotici senza specificazione.

Il riferimento ai manuali diagnostici ci fa intendere la malattia mentale, e in questo caso la psicosi, come un’entità dicotomica che può essere identificata applicando alcuni criteri operativi (i criteri ci sono, la malattia c’è; i criteri non ci sono, la malattia non c’è). Dal punto di vista epidemiologico, e sulla base della nuova interpretazione “dimensionale” dei disturbi mentali, tuttavia, le cose appaiono un po’ diverse.

Sin dalla fine degli anni ‘70 infatti ha preso campo l’ipotesi secondo cui la malattia mentale può esistere nella popolazione generale come un continuum di gravità piuttosto che come un’entità discreta. Così come la pressione arteriosa e la tolleranza al glucosio sono caratteristiche continuamente distribuite nella popolazione generale (e diventano francamente patologiche quando superano certi valori), allo stesso modo manifestazioni “psicotiche” non francamente patologiche (intese più come modalità di interpretare la realtà) sono presenti nella popolazione generale lungo un continuo che può solo in alcuni casi sfociare nel patologico.
La componente del pensiero, per esempio, può essere sovradimensionata in alcuni soggetti.

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Tali soggetti, pur funzionando bene (hanno un lavoro, degli amici, una famiglia), possono attribuire significati “eccessivi” all’esperienza vissuta. Si pensi ad esempio alla presenza di “pensiero rigido e diffidente” in taluni soggetti, che può rimanere tale o può arrivare a sfociare in pensiero paranoico; o si pensi ancora alla presenza di “pensiero magico” in cui un evento neutro diventa significativo (luce che si fulmina come elemento di manifestazione del paranormale) che può rimanere tale o arrivare a sfociare in delirio mistico.

Non bisogna dunque immaginare che la psicosi sia solo la malattia conclamata ma essa va interpretata piuttosto come una modalità intrapsichica di vivere la realtà. L’esistenza di una “zona di confine” in cui un soggetto, nonostante un funzionamento adeguato, può vivere delle dimensioni psicotiche, ci permette di capire come non esistano condizioni di “assoluta normalità” o di “assoluta follia”, che soffrire di disagio psichico sia nella natura dell’uomo, e che paura, pregiudizio e stigma possano solo ritardare l’accesso alle cure adeguate.