Spazio psicologia 3.0: l’altra faccia della violenza

La prima cosa a cui pensiamo quando si parla di vi

La prima cosa a cui pensiamo quando si parla di violenza sono i segni delle percosse sulle vittime. Il prototipo mentale di violenza è qualcosa di evidente, qualcosa che nota anche lo spettatore esterno, qualcosa che è talmente visibile che non si può nascondere e che viene confermato dalle scuse grossolane che si trovano per proteggere il partner.

Ma non sempre è così evidente, vi è un tipo di violenza, la seconda faccia della violenza, che è più subdola e meno evidente della prima. Quella invisibile nascosta dietro il dolore psicologico intimo e privato delle proprie vittime, la violenza psicologica.
A parlare di tale violenza è la Dott.ssa Antonella Sergi, psicologa psicoterapeuta umanistico esistenziale.

Cosa c’è alla base della violenza psicologica?

“È complesso definire cosa ci sia alla base della violenza psicologica. Sarebbe riduttivo pensare ad una vittima ed un carnefice, sebbene questi ruoli siano chiari e definiti. Va però aggiunto che esistono delle caratteristiche di vulnerabilità personalogica e relazionale che possono essere considerati fattori di rischio e predisponenti una situazione di violenza”.

Quali possono essere considerati i fattori di rischio?

“Oltre la legittimazione all’interno della relazione di una situazione up/down tra i partners, vi sono sicuramente delle difficoltà inerenti l’autostima e l’autoefficacia che non aiutano la vittima a percepirsi come parte lesa, sentendosi in qualche modo responsabile delle forme di violenza subita, nonché delle forme di co-dipendenza in cui l’altro non viene considerato da ambo i lati, per quello che è, ma diviene inconsapevolmente un contenitore di aspettative e desideri al quale si cerca di conformare. Così il “violento” deve essere salvato, e la vittima deve essere “corretta” per tutte le volte in cui non è, non fa, non pensa come l’altro vorrebbe”

Non si sente spesso parlare di violenza psicologica, e quando se ne sente parlare è sempre in termini di violenza sulle donne, perché?

“Si parla di violenza sulle donne perché le statistiche dicono che è un fenomeno prevalentemente femminile. Sottolineo prevalentemente e non esclusivamente perché la violenza, soprattutto quella psicologica, miete vittime anche nel mondo maschile. Una recente ricerca italiana, dell’università di Siena, ha infatti non solo analizzato il fenomeno degli uomini vittime di violenza psicologica ma ha anche sottolineato come le variabili attorno a cui essa ruota che sono quelle relative al prestigio professionale ed al guadagno economico, siano quelle usate dalle donne per denigrare e sminuire il proprio partner”.

Si parla solo di violenza psicologica domestica o ve ne sono altri tipi?

“La violenza psicologica non è un fenomeno esclusivamente familiare o relazionale. Stalking e mobbing sono ad esempio due forme di violenza psicologica che avvengono fuori dal contesto familiare o affettivo, fenomeni a cui anche gli uomini sono pienamente esposti”

Come mai queste donne spesso si trovano a giustificare il partner, a proteggerlo e a nascondere sia i segni evidenti, qualora si parlasse anche di violenza fisica, sia i comportamenti di sottomissione che vengono assunti?

“Questa è la questione più complessa ed è forse ciò che caratterizza la violenza nella sua essenza. Il soggetto che esercita violenza psicologica è un soggetto ambiguo ed imprevedibile. Non è mai lineare, alternando a momenti distruttivi momenti di apparente tenerezza ed amore. Il partner è così spiazzato ed allo stesso tempo “incastrato”. Proprio per questo si parla di un “ciclo” della violenza, in cui la fase della “luna di miele” ovvero della riappacificazione ha proprio la finalità di azzerare la violenza e di creare l’illusione di un auspicato cambiamento. Il fenomeno del gaslighting, che potremmo tradurre come “lavaggio del cervello” spiega bene come si mantiene la violenza. La vittima viene minata nella propria capacità critica al punto da perdere di vista dei riferimenti oggettivi e mettere in dubbio la veridicità delle proprie sensazioni, dei propri pensieri. Il tutto rafforzato dalla condizione di isolamento psicologico e relazionale cui è stata lentamente reclusa”.

Ci sono dei sintomi che fungono come campanello di allarmare per cui una persona dovrebbe cominciare a farsi delle domande sul proprio partner?

“Credo che il campanello di allarme sia tanto semplice ed immediato quanto complesso. Parto dalla complessità che risiede nella difficoltà sempre più diffusa di ascoltarsi, di prendersi cura dei propri bisogni. Se si imparasse questo forse diventerebbe immediato riconoscere il campanello di allarme. Siamo abituati per cultura a guardare l’altro, quasi istruiti a riconoscere dei “comportamenti problema” oggettivi. Io invece sono convinta che sia più efficace partire da sé. Quando una relazione fa sperimentare prevalentemente emozioni negative, timore, ansia, paura, sensazione di non essere abbastanza. Allora è questo il campanello d’allarme”

La violenza psicologica è protratta nel tempo o possiamo parlare anche di singoli episodi?

“È una domanda difficile. La violenza è sempre violenza. È chiaro che però una situazione protratta nel tempo diventa distruttiva non solo per la relazione ma sopratutto per la persona. Rispetto al singolo episodio, non so se esistono episodi isolati o se dagli episodi isolati si struttura e cronicizza una modalità relazionale. È normale nelle relazioni litigare e forse anche finire con il dire cose inopportune, inadeguate, ma ciò che fa la differenza è in primis l’intenzionalità con cui determinate cose sono state dette (come esternazione di una sofferenza o per distruggere l’altro) e quanto tra i partner la condizione di parità emotiva permetta loro di attribuire all’evento un valore comunicativo dal quale trarre dei significati per l’evoluzione della coppia stessa”

La comunicazione in questo tipo di relazioni che stile assume?

“Chiaramente la comunicazione è una comunicazione aggressiva il più delle volte, con la finalità di denigrare l’altro. L’aggressività non caratterizza però tanto il tono quanto il contenuto. Chi perpetra violenza psicologica non per forza arriva ad urlare, a volte esercita la violenza proprio con modalità “paradossali”, i silenzi o la svalutazione che esercita nel non considerare il punto di vista dell’altro”

Si è sentito molto parlare di “Gaslighting” può dare una definizione di tale fenomeno?

“Come già anticipato il gaslithing può essere definito come una manipolazione mentale a tutti gli effetti. Il manipolatore (che non per forza esercita la manipolazione con modalità esplicitamente violente) cerca di esercitare il controllo sulla vittima minando la capacità critica della stessa, facendole sorgere il dubbio che le proprie percezioni siano sbagliate. La finalità ultima è esercitare il controllo per mantenere il circolo vizioso”

Quali sono gli effetti di questo tipo di violenza?

“Gli effetti sono diversi e più o meno gravi. Si passa infatti dall’insoddisfazione a disturbi conclamati quali disturbi d’ansia e dell’umore, disturbo post traumatico da stress, disturbi del sonno, somatizzazioni”

Come i cari possono rendersi conto che una persona vicina sta subendo una violenza psicologica?

“Il fenomeno della violenza psicologica non è un fenomeno individuale nel senso che mina ed intacca anche le relazioni della vittima. Per esercitare il controllo infatti si tende sempre più ad isolare il partner. Una persona sola è più facilmente gestibile e manipolabile. Questo è il primo segnale che i familiari possono cogliere: un parente che cambia, che diventa sempre meno disponibile nelle relazioni, intimorito nel mantenere i rapporti secondo le modalità consuete alle relazioni”

Che tipo di percorso psicologico può seguire una vittima di abusi psicologici?

“In un percorso di aiuto professionale la psicoterapia ha come obiettivo principale il ricostruire la capacità critica del soggetto, rafforzare l’autostima, che spesso è totalmente distrutta in una situazione di violenza, e aiutare a sviluppare una visione sana della relazione in cui i confini siano chiari e ci sia una danza equilibrata tra i partners”.

La violenza psicologica è un fenomeno diffuso ma al quale non si dà la giusta attenzione. Quante volte vedendo un’amica che si chiude in casa, dopo aver iniziato una relazione, si pensa al classico stereotipo che ormai ha di meglio da fare piuttosto che rendersi conto che è vittima dei soprusi del compagno? Oppure quante volte si giustificano comportamenti di gelosia estrema (appostarsi sotto casa per controllare se rientra, controllare il cellulare, pretendere le password dei social network) e privazioni della propria libertà dicendo che è vero amore, che un giorno cambierà. Tutto questo mi fa riflettere sulle relazioni che si instaurano, su come i dogmi della cultura hanno quasi convinto che siano relazioni giuste e come spesso giustifichiamo comportamenti aberranti e squalificanti per la propria persona solo per una mancanza di autostima, di percezione della realtà e per la mancanza di punti di riferimento.

A cura della Dr.ssa Gaia Malara
Psicologa – PLP