Spazio psicologia 3.0: sana alimentazione


Nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una “gerarchia di bisogni”, cioè una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore. Alla base della piramide ci sono i bisogni primari, mentre,  salendo verso il vertice si incontrano i bisogni più immateriali. Tra i bisogni primari, o fisiologici, tra cui il sonno, sete e termoregolazione troviamo la fame. Un bisogno essenziale appunto per la sopravvivenza di ogni essere umano.

Oggi chiediamo alla Dott.ssa Antonella Sergi, psicologa social PLP, di offrirci un quadro generale per quanto riguarda la fame e degli aspetti psicologici relativi all’alimentazione.
Dott.ssa Sergi in che termini la psicologia si occupa di alimentazione?
Il motivo per cui la psicologia si occupa di alimentazione è tanto semplice quanto complesso. Quando pensiamo al cibo pensiamo ad esso come alimento senza considerare che il cibo è anche nutrimento. Ed è nell’ accezione di nutrimento che possiamo coglierne aspetti ed implicazioni psicologiche. Il cibo è infatti, insieme al sonno ed al sesso, uno dei bisogni di base di un individuo, proprio per questo definito “fisiologico” ed il soddisfacimento dello stesso è necessario per la sopravvivenza. Il cibo accompagna la nostra vita dal momento in cui nasciamo essendo lo strumento tramite il quale instauriamo la relazione più significativa, quella primaria, con il nostro caregiver, al centro di alcune delle teorie psicologiche più importanti..
Inoltre ha il potere di modificare il nostro stato, sia da un punto di vista elettrochimico, sia da un punto di vista emotivo. Infine i livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo.
Da dove nasce il connubio cibo-mente?
Il bambino, fin dalla nascita, esperisce, nell’allattamento, la possibilità di unire il gusto con lo scambio relazionale. Contemporaneamente alla possibilità di sentire un buon nutrimento ( tramite il senso del gusto) può godere anche dello scambio affettivo e relazionale con la madre (tramite i sensi del tatto, della vista e dell’olfatto): può cosi nutrirsi e provare un piacere multisensoriale.
Il bambino viene al mondo dotato del meccanismo reciproco che gli consente di nutrirsi del latte materno, alimento specie-specifico che riveste diverse funzioni fisiologiche e non, tra le quali l’instaurarsi di una profonda regolazione emotiva di soddisfazione tra madre e bambino. Accanto all’importanza di questa prima modalità relazionale, fondamentale nella relazione che il singolo instaura con il cibo è il modo in con cui gli altri significativi connotano lo stesso.
Se la madre nutre il bambino sulla base di propri convincimenti (es. un bambino grasso è un bambino bello e sano) il bambino, avendo difficoltà a percepire lo stato interno di bisogno e di desiderio, comincerà a nutrirsi dipendendo da segnali e fattori esterni. Altre volte invece, di fronte ad un caregiver distante affettivamente dal bambino, pur essendo molto presente rispetto al suo compito o ruolo, il bambino potrà percepire il cibo come surrogato dell’affetto e, diventato adulto, potrà assumerlo con questa stessa valenza: le emozioni vengono canalizzate solo attraverso il cibo e l’elaborazione psichica del disagio è sostituita dalla gratificazione che proviene dalle sensazioni corporee.
Dal punto di vista psicologico qual è il significato della fame?
Innanzitutto va chiarito che il comportamento alimentare risponde a due spinte: una è la fame, l’altra è l’appetito. La fame permette di riconoscere una carenza di risorse ed una spinta a “ricaricare” le riserve. L’appetito, invece, a differenza della fame che è un bisogno, si connota come voglia e rappresenta  l’input a mangiare anche quando non si ha fame.. Sempre più il cibo perde la funzione di “strumento” per soddisfare un bisogno primario, della fame, per soddisfarne un altro di altra natura diventando “nutrimento” per placare le emozioni sgradevoli che spesso si fatica a riconoscere e tollerare. Il rapporto con il cibo rischia di diventare patologico quando non è più guidato dall’ “intuitive eating”, cioè dai bisogni fisiologici (dinamici), ma è legato alle emozioni, alla storia, alle abitudine e alle tradizioni funzionali alla tipologia psicologica del soggetto. Sono diverse le ricerche che hanno evidenziato lo stretto rapporto tra cibo e vita affettiva e quanto questo possa servire a “gestire” le emozioni. La fame emotiva, detta anche emotional eating, consiste nel consumare grandi quantità di cibo (di solito cibo spazzatura o dolciumi) come risposta a determinati stati emotivi e non per soddisfare il naturale senso di fame. Gli esperti stimano che il 75% del consumo eccessivo di cibo sia causato dalle emozioni.
Può descrivere cosa accade da un punto di vista psichico nella relazione patologica con il cibo?
L’individuo con un disagio psichico che esprime tramite la sintomatologia alimentare tenta di comunicare, in maniera disfunzionale, attraverso il rapporto con il cibo, un bisogno d’amore: il cibo diventa un anestetico con cui si cerca di eliminare la sofferenza o l’insoddisfazione, una scorciatoia con cui tenta di riempire il vuoto che per qualche ragione si è creato dentro. Quando questi meccanismi diventano ricorrenti ed automatici si scivola nella patologia alimentare. La relazione disfunzionale e/o patologica con il cibo, da un punto di vista psicologico, assume le caratteristiche di un circolo vizioso: l’individuo sperimenta un’emozione negativa ( dolore, rabbia, noia). La difficoltà di tollerarla e canalizzarla in maniera funzionale porta il soggetto ad un immediato bisogno di gratificazione (“devo fare qualcosa”) che comporta un ricorso al cibo con un conseguente benessere immediato. Superato questo benessere si passa alla fase degli effetti collaterali ( emozioni negative nuove e differenti rispetto alle precedenti: vergogna, senso di colpa, impotenza) che verranno gestite nuovamente con il ricorso al cibo. Da qui la coazione a ripetere.
Come l’alimentazione agisce sul nostro umore?
L’alimentazione ha forti influenze sull’umore, infatti è collegata a sentimenti di felicità, soddisfazione, prontezza ed energia così come il sollievo da sentimenti di depressione, ansia, colpa o inadeguatezza. Molti principi contenuti negli alimenti hanno il potere di mediare il funzionamento del sistema nervoso, inibendolo o stimolandolo. Un adeguato comportamento alimentare è fondamentale per raggiungere e mantenere una salute sia neurologica che, allo stesso tempo, psichica. Il cibo “spazzatura” o un’alimentazione non equilibrata, determina conseguenze negative non solo sulla salute o sull’immagine corporea,  ma anche su alcuni aspetti prettamente cerebrali e psichici: diminuzione delle prestazioni cognitive, squilibri neurali labilità emotiva, ansia,  nervosismo, apatia, suscettibilità, disturbi del sonno. Lo stato emotivo e l’umore sono regolati dall’equilibrio dei neurotrasmettitori quali la serotonina e le beta-endorfine, fortemente influenzati dall’assunzione degli zuccheri. Numerosi sono gli studi che evidenziano il ruolo dei principali neurotrasmettitori connessi all’alimentazione: dopamina e norepinefrina stimolano le funzioni cerebrali rendendo più lucidi ed attivi, la serotonina invece, responsabile del buon umore, produce effetto calmante e di attenuazione dell’ansia.
Possiamo usufruire una buona alimentazione per prevenire i disturbi dell’umore?
Il rapporto esistente tra alimentazione ed umore è un rapporto bidirezionale: il cibo influenza l’umore che , a sua volta, influenza le scelte alimentari. E’ importante precisare che i disturbi dell’umore hanno una causalità complessa e multifattoriale per cui nella prevenzione, cosi come nell’evoluzione degli stessi, entrano in gioco diversi fattori di natura biologica, personale ed ambientale. Nonostante ciò, le evidenze scientifiche hanno sottolineato la relazione esistente tra la tipologia di dieta e l’insorgenza ed il mantenimento dei disturbi dell’umore, in particolar modo della depressione. Alcuni studi evidenziano come la carenza di nutrienti (vitamine B, C, D, ferro, cromo, magnesio, zinco, selenio, calcio e acidi grassi omega 3) possa alterare la funzione cerebrale e condurre a depressione, ansietà e altri disordini mentali. Al contempo, una dieta basata prevalentemente  su grassi e zuccheri può avere un impatto negativo sul cervello. Ad esempio, è stato evidenziato un collegamento tra depressione e insulinoresistenza che più è elevata più ingrava la sintomatologia depressiva. Pertanto usufruire di una corretta alimentazione ovvero di una corretta assunzione di sostanze nutrizionali ad azione antiossidante svolge un ruolo benefico nei confronti dell’insorgenza di disturbi depressivi nella popolazione sana. Possiamo dunque citare il prof. Scapagnini che, nell’indagare gli effetti benefici dei cibi sulla psiche ha affermato  «…che una “dieta della felicità” dovrebbe sicuramente contemplare un’adeguata assunzione di sostanze, come quelle presenti in frutta e verdure, in grado di ridurre stress ossidativo e infiammazione a livello cerebrale»
Quali alimenti regolano la serotonina, neurostrasmettitore che sintetizza gli ormoni del buon umore?
La serotonina, conosciuta anche come “ormone della felicità”, è il neurotrasmettitore responsabile del buon umore. A livello di sistema nervoso centrale. Infatti, è fondamentale per regolare l’umore, il sonno, l’appetito, l’apprendimento e la memoria. Al contrario, invece, la carenza di serotonina può causare depressione, attacchi di panico, emicrania, ipertensione e insonnia. La serotonina è prodotta naturalmente nel nostro organismo ma la secrezione di questo importantissimo mediatore ormonale può essere stimolata in vari modi, tra cui l’assunzione di determinati cibi, il ricorso a rimedi fitoterapici, la pratica regolare di attività fisica, l’esposizione alla luce solare, i massaggi, il sesso, la socializzazione, lo yoga e la meditazione. .Il nostro organismo produce la serotonina a partire dal triptofano, una sostanza che possiamo assumere attraverso l’alimentazione. Tra gli alimenti di origine animale che contengono triptofano troviamo uova, latte e latticini, carne e salmone, semi di soia, semi di sesamo e di girasole, cacao, cioccolato fondente, patate, banane, riso, cereali integrali, verdure a foglia verde, noci e mandorle. Anche noci, kiwi, ananas, ciliegie visciole, pomodori, banane e prugne sono un’ottima fonte di serotonina. Invece la caffeina è considerata un vero e proprio soppressore della serotonina, a differenza dal pensare comune.
Quali sono le caratteristiche emotive in una persona che ha un disagio alimentare?
Il termine “disagio” rimanda ad una situazione diversa da quella clinica del disturbo dell’ alimentazione. Il disagio infatti solitamente indica qualcosa di momentaneo, transitorio e legato ad una particolare situazione. Quando il disagio si aggrava e si cronicizza possiamo parlare di disturbo. Quelli che fino ad oggi erano comunemente conosciuti come DCA ( DIsturbi del comportamento alimentare) nel DSM-5 acquisiscono una nuova denominazione:  “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione”. Questa categoria diagnostica non comprende più esclusivamente anoressia e bulimia come quadri clinici più complessi e definiti, ma racchiude disturbi alimentari provenienti dalle classificazioni dedicate all’infanzia, quali Pica, Disturbo da ruminazione e Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo. Anche il Disturbo da binge-eating (o disturbo dell’ alimentazione incontrollata) entra a far parte dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Come complesso è l’orizzonte dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione altrettanto complessa è l’indagine sulle caratteristiche emotive delle persone che ne soffrono. Se volessimo trovare una sorta di continuum potremmo affermare che in alcuni quadri clinici la sintomatologia venga usata come indice della propria forza di volontà e della propria capacità di esercitare il controllo. Per concludere dunque possiamo indicare con tre i verbi i principali meccanismi psicologici alla base dei disturbi dell’alimentazione:
– Restringere come tentativo di mantenere l’illusione del controllo
– Abbuffarsi, con l’obiettivo, spesso inconsapevole, di alleviare, anche se momentaneamente, le emozioni negative (tristezza, rabbia, solitudine)
– Eliminare il cibo introdotto, solitamente considerato in eccesso, per combatte la sensazione di disgusto e disperazione determinata dall’abbuffata o dall’essersi semplicemente nutriti.
Un ottimo contributo datoci dalla Dott.ssa Sergi . Si è visto come la nutrizione, da bisogno primario utile per la sopravvivenza della specie, possa divenire incontrollata e disfunzionale per il benessere. Il non riconoscimento dei bisogni, infatti, porta l’individuo a soddisfarli in modo errato, per esempio con continue abbuffate o anche con la privazione del cibo. Si entra in un circolo vizioso dove ogni emozione e situazione porta l’individuo a mangiare senza sentire effettivamente fame. Si mangia per noia, per disperazione, per gioia, per solitudine, si mangia in tutte quelle situazioni in cui si sente una spinta emozionale talmente forte e incontrollata che, non sapendola gestire, si placa  ingurgitando cibo.
La relazione con il cibo parte prima di tutto da una relazione con noi stessi, se siamo in grado di riconoscere il nostro mondo interiore, dando un significato e un ordine a ciò che avviene, si è in grado di esprime i propri bisogni in modo funzionale e di soddisfarli adeguatamente per mantenere l’omeostasi positiva corpo-mente e per arrivare al soddisfacimento di bisogni superiori.
Rubrica ideata e creata da PLP
A cura della Dott.ssa Gaia Malara

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